Home CRONACA Primo agosto, la sbandata: sulla Rsi propaganda al vescovo “da fuori”

Primo agosto, la sbandata: sulla Rsi propaganda al vescovo “da fuori”

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Meravigliosa – poche storie: ben più fedeli (parlandosi nei termini della devozione, non della mera presenza fisica) di quelli che si vedano in una domenica fra tutte le sante Messe del Mendrisiotto – la forza espressa dalla cerimonia liturgica del Primo agosto al San Gottardo, vari i concelebranti attorno a monsignor Alain de Raemy amministratore apostolico della Diocesi di Lugano, chiaro il richiamo al “Dio che è vicino, ma che cosa facciamo noi di tale vicinanza?”; riecheggiati inoltre alcuni tra i passaggi del testo pubblicato sul sito della Diocesi, con riferimento in ispecie al bene comune ed all’invito – nemmen troppo fra le righe – ad evitare di conformarsi ai modelli del “pensiero unico”. Parole semplici, insomma, e teologicamente non controvertibili, ed impolitiche: in questo monsignor Alain de Raemy, alla prima uscita sul San Gottardo dove erano stati chiamati a partecipare anche i rappresentanti delle altre confessioni cristiane, ha dato serenamente continuità a tracce che erano state disegnate dai predecessori monsignor Giuseppe Torti – sotto la cui regìa fu resuscitata la tradizione del pellegrinaggio, anno 2000, presenti forze dalle sei Diocesi che fanno fulcro sull’identità sangottardiana – e monsignor Pier Giacomo Grampa e monsignor Valerio Lazzeri.

Distonico invece, valendo il principio secondo cui amicus Plato sed magis amica veritas, il commento passato sul catodo cioè nella diretta della Rsi circa la questione delle firme raccolte (e consegnate) al fine di cancellare l’obbligo di cittadinanza ticinese per il vescovo di Lugano, ovvero – nella forma conosciuta – dell’essere tale figura necessariamente un “ressortissant tessinois”, pilastro questo dell’accordo sottoscritto nel 1968 tra Berna e la Santa Sede; per quanto l’argomento abbia avuto attinenza (ops) in cronaca, non era questa la sede per un richiamo in cui, all’ascolto, più d’uno sembra aver colto la sponsorizzazione del commentatore. Questione di differenti sensibilità, chiaro, a parte un aspetto importante: checché pensi qualche granconsigliere o ex-granconsigliere che ha provato anche a tirare la giacchetta all’amministratore apostolico stesso, incrociando peraltro una quasi immediata presa di distanze, alla stragrande maggioranza dei fedeli cattolici in Ticino l’aperturismo non interessa mentre serve, eccome, una figura del territorio e per il territorio e che questi luoghi e queste persone conosca e capisca. Non facile nemmeno per un santo conclamato e che sia nato o cresciuto tra Chiasso ed Airolo; figurarsi per chi, alle prese con un incolmabile divario culturale, dovrebbe prendersi cura delle anime.

In ultimo: ci sono state 2’000 firme finalizzate ad abrogare quel vincolo? Benissimo: sempre che quei 2’000 abbiano effettivamente compreso quale sia il punto in discussione, essendoci sempre almeno due modi di porre una domanda, sarebbe utile il capire quante migliaia di cattolici – preannunciamo: tante – in Ticino preferiscano un vescovo interlocutore che parli le loro stesse lingue. Quella verbalmente intesa, certo, ma soprattutto quella dello spirito.