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Tragedia in Val Grande, morto il collega Erminio Ferrari

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Una caduta fatale dal sentiero appena sotto il Pizzo Marona, nella verbanese Val Grande che era il suo “habitat” ecoculturale – lì gli accadeva anche di svolgere attività di volontariato nel soccorso alpino civile – e che stava percorrendo in direzione del Monte Zeda, ci ha strappato stamane il collega Erminio Ferrari, già all’“Eco di Locarno” e poi alla “Regione” dove riversava attenzione peculiare alle pagine degli Esteri. Giornalista senza pagine in grigio, Erminio Ferrari: con le sue idee dalle quali si poteva anche dissentire, con le sue tesi che trasfondeva sulle pagine e sulle quali si poteva anche non essere d’accordo, con titoli che non sempre facevano l’unanimità e Deo gratias che così fosse, perché l’ultima cosa che il lettore possa desiderare è una stampa in Xerox. Ogni tanto ci scappava la telefonata, “Erminio, che diamine, toccarla piano proprio mai?”; “Prometto, la prossima volta”, era l’invariabile risposta. Una prossima volta nel tempo del mai, il sottinteso noto a lui ed all’interlocutore.

Aveva 61 anni, Erminio Ferrari che eravamo abituati a pronunciare tutt’insieme, in saldatura tra nome e cognome; cannobiese in quanto di Cannobio nel Verbano-Cusio-Ossola e cannobino nel senso della cultura incretata di cui egli si faceva latore. Fu un affascinante “Baedeker” dal titolo “Val Cannobina”, ormai nel 1988, a farlo conoscere come autore; in precedenza, essenziale era stato il suo contributo al volume fotografico “Luoghi non tanto comuni”, con Lillo Alaimo e con Daniele Grassi. A sostenerlo, nel rivelare le pieghe del territorio (altre proposte in questo solco: “Montagne di carta” e “Valgrande”), anche una competenza rara in materia di botanica, frutto sia di studi sia del decennio passato alle dipendenze di un’azienda florovivaistica. Ma gli interessi erano destinati a svariare: dai racconti “Porporì” al romanzo (“Passavano di là”, “Fransé”) alla saggistica (“La liberazione”), non trascurandosi opere di ricostruzione storica e qualche traduzione “sentita” (dal francese, la “Luce rubata” di Hubert Mingarelli).

Cordoglio viene espresso, in queste ore, almeno da quella parte del giornalismo ticinese che sa essere memore degli anni condivisi, e che ad Erminio Ferrari resta riconoscente foss’anche per un solo sprazzo. E tra tutti scegliamo il pensiero di Mauro Antonini: “Ha descritto e raccontato il mondo di oggi come pochi”. Potessimo andarcene lasciando dietro di noi un simile epitaffio, potessimo.

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