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Locarno, a Solduno una “cattedrale” della pizza. Sulla pelle di chi c’è già

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Ci informano: ehi, arriva una nuova ditta; bene, viene da rispondere. Aggiungono: non è enorme, ma vale attorno alla diecina di assunzioni; d’acchito si pensa che bon, è sempre lavoro, è sempre economia che gira e che cuba, posti uguale salari, prodotto o servizio che sia vuol dire clientela. Poi vai a constatare, e ti accorgi che qualcosa stona. Anzi: che tale ingresso sulla piazza sarà stato anche autorizzato, che contro il progetto non è stato interposto un ricorso in tempi utili (e di ciò abbiamo contezza: la scadenza era fissata a ieri), che per carità tutto verrà fatto secondo la regola dell’arte; ma anche che dall’insediamento dell’attività – una – potrebbe derivare la morte di varie altre sue omologhe. Quante? Da zero (zero non avendosi qui doti spiccate di preveggenza) a due, tre, forse cinque, magari anche sei. Perché una cosa è certa: quando arriva uno grosso, il piccolo soffre; quando arriva uno grosso e si pianta sulla stessa direttrice stradale del medesimo quartiere-paese ed in mezzo a sei realtà tipologicamente più piccole, o chi dirige la baracca è un re Mida al contrario ed i suoi collaboratori vengono presi dalla lista dei fanigottoni o a patire saranno solo altri.

A portata di… voce – Sì e no sui 300 metri lineari, da rotatoria a rotatoria e poi ad una curva sul cui angolo opposto si affaccia una piazza, viene descritta la fettuccia di territorio locarnese in cui – e non a causa di chi li già si trova – rischia di insorgere una battaglia per la sopravvivenza di attività di servizio dall’inconfondibile base comune. Locarno, abbiamo detto; Solduno, per meglio dire, il quartiere che non fa quartiere ma borgo a sé benché s’appresti ad andare in scena – questione d’un lustro e poco di più – il centenario dall’accorpamento. Qui, previo sgombero degli ambienti in cui si trovava una concessionaria di moto di recente trasferitasi ad Avegno-Gordevio frazione Avegno zona ex-segheria ed una volta adempiuti i passi per la modifica della destinazione d’uso, troverà spazio una pizzeria modello “takeaway” di nota catena diffusa a livello nazionale ed il cui radicamento in Ticino sembra imminente con ben cinque punti di produzione e di distribuzione (Bellinzona, Lugano, Chiasso, forse Mendrisio oltre a quello di cui si sta parlando). In ballo numeri ed interessi non indifferenti: 724 i metri quadrati nel ristrutturando complesso (chi abbia memoria storica e geografica ricorderà che quella zona è detta “Ai Novelli”, in appoggio sul lato “basso” verso la coda di via Bartolomeo Varenna) quale 42.a filiale della catena, committente da Rapperswil-Jona, niente posti a sedere cioè niente tavolini per il consumo sul posto, posteggio presumibilmente riservato ai soli mezzi per la consegna (sei auto e due “scooter”: se tanto ci dà tanto, atteso un volume distributivo da impresa dominante sul mercato regionale). A complemento dell’offerta anche la preparazione e la consegna di pasta, “dessert”, insalate, birra, vino, bibite analcooliche; antipasto, primo e contorno e dolce sono garantiti, insomma. Evidenza: sono solidi, massicci ed ambiziosi, costoro.

Concorrenza, scusi, come? – E qui il “ma”: meglio, una congerie di “ma”. Primo: parliamo di bacino di utenza, parliamo di servizi, parliamo di operatività: in una logica di sana amministrazione politica del territorio, cioè dal punto di vista di coloro che sono deputati alla gestione del bene pubblico, qual è la logica? Nessuno afferma, per mancanza di riprova aritmetica, che il mercato sia saturo; certissimo è invece il fatto che, dopo la lunga parentesi covidiana nel cui corso era esplosa la vendita in forma di asporto, il giro d’affari degli operatori in questo ramo è sceso nella misura d’un buon 30 per cento, se non di più, sul progressivo ritorno ad una certa quale “normalità” (dati raccolti in modalità empirica. Disponibilissimi a rilevarli, chi voglia collaborare). Secondo: chi punta ad entrare lì, in quel preciso luogo, avrà anche fatto i suoi conti ma non giureremmo sulla Bibbia circa la validità dell’indagine di mercato che si presume sia stata condotta. Terzo, ed ora facciamo sollevare da terra il drone: un “takeaway” di pizza sta in via ValleMaggia 81, un “takeaway” di pizza sta in piazza Solduno 3, un “takeaway” di pizza sta in via Alberto Franzoni 75; una pizzeria con servizio “in situ” sta in via Alberto Vigizzi 4, ed una pizzeria con servizio “in situ” (ristrutturazione recente, ha lavorato bene sino a poche settimane addietro, al momento è chiuso e dall’ultimo cartello esposto risultava la temporanea chiusura per ferie) sta in via ValleMaggia 83. Non solo: proprio per via dell’annunciata somministrazione al pubblico – sicuro, sicuro, come “takeaway”, l’abbiamo detto e ce lo stiamo ripetendo “ad nauseam”: per la consumazione, poi, uno può anche fermarsi alla prima panchina – di pasta insalata “dessert” ed altro, sotto schiaffo finisce anche un’attività in variante etnica e con varie tipologie tra l’analogo e l’omologo, e qui l’ingresso è situato in via Alberto Vigizzi 9. Oh, questo da ricognizione sommaria; potrebb’anch’essere che altro vi sia, non in vista immediata.

Il gioco e la candela – Nemmen serve il richiamare altre identità imprenditoriali che poggiano verso Solduno ma essendo afferenti a Locarno: troviamo più “takeaway” del pronto-per-il-consumo in questo lembo di Solduno che chioschi di piadinatori sul lungomare fra Torre Pedrera e Viserbella, frazioni di Rimini. Forse e senza forse è invece da considerarsi il fatto che le pizzerie presenti sono a conduzione familiare o tra soci amici, cioè economie domestiche o da cui le economie domestiche si trovano a dipendere. Oh, nessuna interesse qui di mettere in discussione il diritto alla concorrenza; ma, al di là della maggiore o della minore varietà dell’offerta e della migliore o della peggiore qualità del venduto (il che ad ogni modo conta), chi debba fronteggiare un simile e nuovo “competitor” ha il diritto di porsi qualche interrogativo e di preoccuparsi per il proprio presente, soprattutto in ordine agli investimenti effettuati ed alla fatica durata per emergere e per affermarsi. Tra le domande, a chiusura del cerchio, riaffiora quella pertinente all’opportunità di simile operazione. Opportunità nel senso della logica, ecco.

Chiarezza non data – Peraltro: leggi e compulsa e vai ad indagare tra le righe di quel che si può acquisire, e l’oro luccicante ti sembra in qualche caso ottone solo ben lucidato. L’apertura: continuata dalle ore 11.00 alle ore 22.00 la domenica, con spezzatura dei turni dal lunedì al sabato. La definizione: sole preparazione e “consegna a domicilio”, il “takeaway” sembra escluso ed anzi proprio non compare nelle carte (in quelle che ci è stato possibile consultare, quantomeno); eppure, da un confronto su altre filiali della medesima catena, in Svizzera interna parlano sia di “Lieferung” sia di “zur Abholung”, ed in Romandia sta scritto che il servizio è garantito sia “en livraison” sia “à emporter”; come la mettiamo, non è che “ex post” salti fuori la sorpresina? La compagine al fronte: sì, fra nove ed 11 posti annunciati, ma per meglio dire solo “previsti”; e poi, a tempo pieno è uno solo, quello del direttore, perché gli altri constano essere “part-time”, sempre meglio che l’andare a timbrare, ma è la somma che fa il totale e nel microcomprensorio si farebbe presto ad avere un saldo occupazionale negativo, solo che ci si pensi. E in ultimo: è dichiaratamente una filiale, questa; in realtà trattasi di “franchising”, quota-“standard” di ingresso sui 50’000 franchi ballanti e sonanti fatte salve situazioni topiche, prelievo di massima pari al 12 per cento sulla cifra d’affari al lordo. Auguri, neh; ma sbagliamo o qualcun altro, dopo essere calato in Ticino con tonitruante sicumera, si trovò ben presto a sforbiciare la forza-lavoro ed a far conti sottili sottili sugli utili?

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