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«C’era una volta la Sinistra». E l’Italia del voto tira anche due ceffoni a Bruxelles

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(ULTIMO AGGIORNAMENTO E RIEPILOGO, ORE 6.59) Sullo sfondo di una crisi finanziaria ed economica di cui non si comprendono nemmeno i confini, e figurarsi i contenuti, nel ritorno all’affermazione di principi non più negoziabili – difesa delle frontiere, tutela delle vere istanze sociali, garanzia di una scuola effettivamente formativa, salvaguardia del diritto nazionale dalle istanze predatorie di Bruxelles, contrasto alle striscianti cessioni di fette di sovranità – risiedono alcune fra le cause dello “tsunami” che alle ore 23.01 di ieri, domenica 25 settembre, sulla pubblicazione dei primi “intention poll”, ha regalato all’Italia un nuovo orizzonte spazzando via quel che restava della prosopopea della Sinistra sedicente egemone culturale e sedicente depositaria della moralità politica: grazie sì a propri mezzi ed a proprie risorse, ma anche in forza delle contraddizioni interne allo schieramento opposto e degli scandali in esso succedutisi negli ultimi mesi, il Centrodestra a tre punte (Fratelli d’Italia-Forza Italia-Lega) con l’invero modestissimo supporto del neocostituito movimento dei “Noi moderati” è andato a stravincere la consultazione elettorale generale sia al Senato della Repubblica sia alla Camera dei deputati. In cifre: nel primo caso, media sul 41-45 per cento secondo gli “exit poll”, sul 43.4 per cento secondo le proiezioni e sul 44.14 per cento secondo cifre reali dagli scrutini (56’068 sezioni su 60’399); minime le differenze per quanto riguarda l’altro ramo del Parlamento, rispettivamente sul 41-45 per cento nella forchetta dei sondaggi all’uscita dai seggi, sul 42.9 per cento a rigore di proiezioni e sul 43.96 per cento in evidenza da scrutinio (54’599 sezioni su 61’417). Numeri ragguardevoli, e tuttavia da tradursi: lo schieramento del Centrosinistra, in coalizione alberghiera trattandosi di alleanza elettorale ma a scarsa base di condivisione programmatica, non riesce a disincagliarsi – né potrà farlo sull’ultima ondata di schede – da un 26.37 per cento al Senato e da un 26.61 per cento alla Camera; scarto da 15, 16, 17, quasi 18 punti nel confronto diretto, un oceano considerandosi l’estensione del corpo elettorale italiano (circa 51 milioni gli aventi diritto al voto; nella realtà, il tasso di partecipazione è precipitato al 65 per cento circa, ossia otto punti in meno rispetto all’affluenza che era stata registrata alle Politiche del 2018).

Vincitori e vinti – Sotto sferza ciascuna tra le componenti del “cartello”: prendendosi a parametro i dati più favorevoli al Centrosinistra, “PiùEuropa” è al 2.96 per cento e si ferma al 3.57 per cento la coppia “Verdi e Sinistra italiana”, imbarcata a danno dell’accordo già fatto con “Azione” che insieme con “Italia viva” viaggia attorno all’otto per cento; il Partito democratico, di suo, si schianta al 19.16 per cento ossia al di sotto di quella che era indicata come linea di sopravvivenza; aspetto, quest’ultimo, da cui dovrebbe trarre qualche conclusione anche Enrico Letta, segretario del partito stesso e responsabile di una campagna dissennata per errori nella conduzione delle trattative – meno di 48 ore durò il citato contratto elettorale con “Azione”, il cui fondatore Carlo Calenda si riversò poi ad accordarsi con Matteo Renzi capintesta della residuale “Italia viva” – ed a tratti condita dalla sola disperazione. Fuori bersaglio i colpi indirizzati a Giorgia Meloni (nella foto GdT), che con “Fratelli d’Italia” aveva condotto in solitaria la battaglia all’opposizione del Governo della “buona volontà” sotto guida dell’economista Mario Draghi; è proprio “Fratelli d’Italia”, che si pone sulla destra dello schieramento della Triplice, a dominare il campo con un mostruoso 26.38 per cento (riferimento: Senato della Repubblica) a fronte del 9.02 per cento raccolto dalla Lega (in perdita di velocità; non pagante la strategia da “Porgi l’altra guancia” che era stata adottata da Matteo Salvini) e dell’8.24 per cento su cui si colloca “Forza Italia” (per inciso, il fondatore Silvio Berlusconi – 86 anni fra tre giorni – si appresta a tornare proprio al Senato essendo stato eletto nel collegio uninominale di Monza); solo lo 0.90 per cento a “Noi moderati”, che tuttavia vincono il duello a distanza con la quarta stampella del Centrosinistra cioè l’“Impegno civico” di Luigi Di Maio, tuttora ministro degli Affari esteri ed in provenienza dai “Cinque stelle”.

Dati per morti, e invece… – Circa quest’ultima compagine, nessun dubbio: era stata squassata da polemiche e da una vera e propria scissione (con Luigi Di Maio se n’andarono decine di parlamentari ed altri due ministri), prodigiosa dunque la sua rimonta nei consensi per effetto soprattutto dell’esposizione mediatica – e sul terreno, con particolare insistenza nel serbatoio di voti offerto dal Meridione – di Giuseppe Conte, già presidente del Consiglio prima di Mario Draghi ed investito del ruolo di nuovo “conducàtor” dallo stesso Beppe Grillo, fondatore del movimento; raccolto poco meno di un sesto dell’elettorato espressosi ai seggi (fatta eccezione per gli italiani residenti all’estero, cui è concesso il voto per corrispondenza, sul territorio di Tricoloria resta vigente la formula dell’accesso personale alle urne, per di più nel corso di una sola giornata), 15.16 e 14.86 per cento, risultati da favola quand’invece la pattuglia affidatasi a Luigi Di Maio spunta sì e no uno 0.50 per cento. A questo punto, Giuseppe Conte potrà rivendicare a sé l’aver fatto pulizia dei personalismi (sua tesi) e l’essere riuscito ad imporre una serie di temi e di loro declinazioni; l’assenza di qualsivoglia disponibilità al dialogo con il Partito democratico (con “questo” Partito democratico, perlomeno) è sintomo dei problemi che l’opposizione incontrerà nell’organizzarsi contro il blocco granitico – messaggio dato in campagna elettorale: “Governeremo per cinque anni” – del Centrodestra. Il cui Esecutivo, fatti salvi eventi imponderabili, sarà per l’appunto guidato da Giorgia Meloni, quindi dalla prima donna presidente del Consiglio in Italia. Uno smacco in più per il Centrosinistra, le cui istanze a promozione dell’eterno femminino non hanno mai prodotto un esito sensibile in tal senso, foss’anche quale mera candidatura. Dell’essere il Centrodestra in ottime condizioni per un quinquennio senza tentazioni centrifughe dice soprattutto la ripartizione dei seggi: ridottisi “ope legis” quelli della Camera a 400 (da 630) e quelli del Senato a 200 (da 315), maggioranza assoluta – e larga – in entrambi i rami del Parlamento. Bella e franca risposta, dagli elettori, anche ai reiterati tentativi di condizionamento del voto da parte di parte della stampa internazionale e di vari esponenti delle istituzioni eurocentriche, Ursula von der Leyen ultima in ordine di tempo.