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Calcio / Mondiali in Qatar, la Rossocrociazia rischia ma va agli ottavi

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Avendo a disposizione due risultati su tre per il superamento del turno ai Mondiali di calcio maschile in corso dalle parti del Qatar, in quel dell’enigmatico “Stadio 974” di Doha la Rossocrociazia scelse stasera di percorrere vie tortuose fatte di difese burrose proprie ed altrui, di partenze brucianti e di eliminazioni rischiate, di cazzotti dati a volte a ragione e spesso a torto, di portieri incoerenti con il ruolo (salutiamo Gregor Kobel in forza al Dortmund, auspicando l’immediato ritorno di Yann Sommer a presidio dei pali: al confronto con un Gregor Kobel indeciso a tutto, mezzo Yann Sommer anche ammalato è come Hulk che debba vedersela con Paperoga); insomma, tutto l’armamentario con cui di solito si finisce cornuti e mazziati e si torna a casa. Ed invece ‘sta specie di kolkhoz che ogni volta bisogna arrangiare anche su scala geopolitica, cioè sempre pregando che un Breil Embolo non tremi quando deve tirare nella porta del Camerun (lo fece, giovedì 24 novembre, firmando l’1-0; ma non esultò né mostrò un cenno di allegrezza, significando il valergli di più la natia Yaoundé dell’accogliente e premurosa Elvezia) e sempre sperando che sul campo o sul margine di esso non scoppi qualche conflitto interetnico (contro la Serbia, oggi, ripetuti colpi di artiglieria ad incrocio tra il kosovaro basilese Granit Xhaka ed uno a caso tra Nikola Milenkovic, Predrag Rajkovic e vari altri), ‘sta specie di kolkhoz, dicevamo, andrà agli ottavi di finale della più balenga fra le rassegne iridate degli ultimi quattro decenni abbondanti. Pensate un po’: estromessa la Serbia, prossimo appuntamento con il Portogallo.ù

Grazie a noi, grazie a loro – La Serbia se ne va, con licenza d’espressione, primariamente perché i serbi – con tutto il talento individuale che possono esprimere, con tutta la scienza calcistica di cui sono latori, con tutto il vigore atletico che sanno produrre – ogni tanto ricascano nelle tentazioni alla Gavrilo Princip che sparò all’arciduca d’Austria e si mettono a seguire un pensiero fisso e si infilano nei “cul-de-sac” ripetendo sempre lo stesso schema, e cioè giocano nell’identica maniera, pur magari a mutati attori, sia che stiano perdendo sia che stiano vincendo. Dovendo qui vincere, perché aveva a favore un solo risultato su tre, il gruppo selezionato da Dragan Stojkovic subisce un avvio veemente (tre occasioni avversarie nei primi 40 secondi) e va alla risposta con il palo colto da Andrija Zivkovic all’11.o, indi viene trafitto da Xherdan Shaqiri – non più il funambolo che si conobbe, ma esaltatissimo dall’occasione per motivi suoi e fors’anche intuibili – al 20.o su esito di sgroppata dell’inesauribile Ricardo Rodriguez, tocco-assist da Djibril Sow. Sotto 0-1, serbi alla reazione con immutato impeto e pam-pam, prima un numero di Aleksandar Mitrovic e poi un colpo di lusso toccato a Dusan Vlahovic, sta di fatto che fra il 26.o e il 35.o cambia l’inerzia; in pratica, dopo mezz’ora, a Belgrado e dintorni possono già festeggiare la qualificazione, prevalente l’altrui demerito perché spiace il riscontrarlo, ma fra portiere e linea difensiva della Rossocrociazia c’è uno scollamento tipo cervelli in fuga dal corpo, tutti saprebbero quel che è da farsi ma con Gregor Kobel manca l’affiatamento e dunque il portiere non esce mai né in presa né in respinta, i terzini laterali cincischiano con la palla tra i piedi nello stretto, a Ricardo Rodriguez non si può chiedere di fare il boia e l’impiccato, et cetera.ù

Quisque auctor fortunae suae – Ma i serbi, dopo aver infierito sull’Emmentaler messo lì “a quattro” e chissà che questa non sia propriamente la miglior formula da adottarsi, mica capiscono che per prima cosa bisogna tirare sino alla pausa coprendosi come uno sciamano che debba scavalcare le Alpi in inverno; ergo, prima il rischio corso su cannellata di Ruben Vargas cui si oppongono parti nobili e meno nobili di Strahinja Pavlovic, poi il quasi inevitabile cedimento su incursione corale rifinita da Breel Embolo (44.o). Ripresa: tre minuti, Remo Freuler è destinatario di un artistico arabesco in declinazione da colpo di tacco, 3-2 e da qual momento, complici anche un calo di tensione ed il fine benzina nel propulsore di qualcheduno, accadranno solo cose minime ancorché surreali come nel caso di Christian Fassnacht che, in subentro a Ruben Vargas per gli ultimi sette minuti ufficiali più 10 che saranno annunciati quale recupero, percorrerà praterie quanto basta per ingorillarsi con il pallone al piede nel momento di piazzare la botta. Dall’altra parte, tuttavia, ciascuno si adopera: Fabian Schär spiega una volta ancora i motivi in ragione dei quali sta girando l’Europa con bei contratti in squadre di primo piano anziché ritrovarsi il sabato pomeriggio a pestare qualche terreno proletario con il Dopolavoro della “Raiffeisen” di Wil, e persino i più timidi si sentono scorrere sangue nelle vene. L’hanno sempre avuto, chiaro; ma contro il Brasile, con quell’irritante titic-e-titoc da zero tiri zero, sappiamo benissimo come finì.

Tutto in ordine, tutto da manuale – La storia si chiude dopo 100 minuti; e non è detto che, per le scaramucce insorte tra Granit Xhaka e vari avversari, non saranno presi provvedimenti, ché questa vorrebbe essere la Svizzera ed invece certi atteggiamenti di singoli tizi ci costringono a continuare a definirla Rossocrociazia, tanto a costoro della Svizzera sembri interessare poco di massima e nulla quando hanno a che fare per propri dissidi nazionalistici. Con Berna e con il resto del Paese, conquistato com’è il superamento del turno, il contratto obbligazionario è adempiuto, e qui si impone il fervorino da finale moraleggiante: non dev’essere poi gran merito, se oltre la barriera si ritrovano anche giapponesi e sudcoreani. O s’ha da dover pensare che in cotanto evento pedatorio di portata mondiale un così ricco assortimento di produzione biscottiera sia frutto del caso, senza cioè che vi sia stato bisogno di accordi illeciti? Lo si vuol credere, ma certe rimonte alla miracolistica lasciano freddi, così come un Camerun che batte il Brasile. Nel 1978, almeno, fu subodorato all’istante il singolo trucchetto – sotto forma di negoziatissimi servigi da parte del disponibile Perù all’ultimo atto del secondo turno a gironi – senza il quale la peraltro sempre amata Albiceleste mai sarebbe giunta a disputare ed a vincere la finale, e più che su Ramon “Chupete” Quiroga, detto anche “El loco” e nato argentino, che in porta qualcosa almeno fece per evitare la sciagura materializzatasi in uno 0-6, indirizzeremmo tuttora i sospetti su alcuni elementi dell’improvvisamente fragile retroguardia peruana. Ma no, qui è tutto pulito, qui è tutto a rigore di fededignità.