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A margine / Claudio Franscella, il volto dell’onore in un basket disprezzato

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Un solo aspetto positivo, iersera, nella patetica schiantata della Rossocrociazia baloncestistica maschile contro la Croazia: la trasferta ad Abbazia (oh, il salterello di “Va Opatije” sulla voce di Daniel Nacinovic…) nel nord-est dell’Istria, sede scelta per il confronto, servì quale occasione per rafforzare i rapporti tra omologhi in ruoli apicali, presenti sia Giancarlo Sergi capo della Federazione svizzera alias “Swiss basketball” sia il ticinese Claudio Franscella suo vice (in immagine, Claudio Franscella con Stojko Vrankovic, già valido agonista fra madrepatria, Nba ed Italia ed oggi presidente della Federazione croata. Non c’è errore di inquadratura, Stojko Vrankovic va sui 218 centimetri). Opportunità di confronto anche su temi politici, quella colta da Claudio Franscella che, in qualità di granconsigliere ticinese, si è intrattenuto a colloquio con Andrej Plenkovic, odierno presidente del Governo – tale la denominazione ufficiale – della Repubblica di Croazia; e, si ripete e si sottolinea, sino a qui tutto assai bene. Rovescio della medaglia, il… rovescio subito da una squadra raccogliticcia e male armata; non che il talento straabbondi, ma almeno i presenti erano presenti, nel senso che anche stavolta non sono mancate le defezioni dell’ultima e della penultim’ora con rifiuto della convocazione da parte di singoli agonisti. In condizioni tali, cioè di fronte ad un collettivo che anche nel peggiore dei casi gode di tre o quattro elementi da Nba nell’organico e mancano alla Rossocrociazia almeno due lunghi e mezzo, o sei un assatanato da “sistema Grinnell” (ciapa-e-tira) o pratichi quel che oggi molti chiamano “small ball” giusto per riempirsi la bocca – in pratica è la palla a spicchi da campetto “d’antan”, dove non tutti erano Earl Manigault ma ci si spolmonava e ci si batteva con onore, quali che fossero abilità e statura – o ti buschi un trentello abbondante (in effetti: 53-84) e stai zitto sino a che gli spogliatoi si siano svuotati. Poi, e però, parli, e parli eccome.

Non lasciatevi ingannare dall’apparente mitezza del personaggio: pur nella difesa d’ufficio della squadra (giusto: una tutela per quanti, sul finire di agosto e quindi nel mezzo della preparazione fisica, hanno risposto positivamente alla convocazione), iersera Claudio Franscella era sommessamente furente. Furente, perché a lui – e non solo a lui – sembra irrispettoso l’atteggiamento di coloro che trovano sempre una scusa per restarsene sulla nuvoletta e per defilarsi, o magari tentennano e ti dicono “sì” solo dopo che li hai pregati e scongiurati; questo mentre c’è gente che pagherebbe per poter timbrare un minuto, anche un minuto soltanto, con quella maglia, e che rimane fuori dal “giro” delle chiamate – questo è pensiero comune qui a bottega; Claudio Franscella mai si pronunzierebbe in simile forma – perché non si sa mai che l’“altro” giocatore, quello più bravo o più noto o meglio rappresentato da un agente o semplicemente più nella manica del selezionatore (che avrà i suoi gusti come ogni altra persona, per carità), si risani come un Lazzaro richiamato dal sepolcro – lì, quantomeno, per intervenuta azione soprannaturale – benché tre giorni prima fosse giunta un’attestazione medica da inevitabile ed incontrovertibile lungodegenza. Ne va di almeno due aspetti; primo, l’effettivo volto che si porta in giro, e Croazia-Rossocrociazia era il secondo appuntamento del secondo turno delle prequalificazioni agli Europei 2025, dopo il brodino (74-64) di tre giorni prima a Friborgo su un’Austria balbettante, e bisognerebbe anche far memoria dell’avvenuta qualificazione – passaggio dal primo al secondo turno – solo per un colpo di lusso sulla Repubblica d’Irlanda a Dublino, inizio luglio, dopo l’irritante battuta d’arresto contro Cipro; secondo, il fatto che Giancarlo Sergi e Claudio Franscella, nel quadriennio scaduto a giugno e per il quale hanno ottenuto solida riconferma (fra i ticinesi, nel Consiglio di amministrazione, figurano i vari Alessandro Cedraschi e Karen Twehues e Matyas Cavadini più Jean-Luc Bernasconi da considerarsi quale oriundo), hanno portato il movimento verso una progressiva professionalizzazione e, cosa che ancor più conta, sono riusciti a calamitare risorse finanziarie in accrescimento, cioè a portare a casa denari sonanti e ballanti al fine di garantire respiro al movimento. Poi, s’intenda, non tutti impazziscono per l’eccessivo impulso dato al “tre contro tre”, perché la coperta è ancora corta e poi il “tre contro tre”, agli occhi del profano, odora di circense (bello, ma dopo un po’ stufa); sul femminile, inoltre, al di là dei proclami si stenta parecchio; quanto al rapporto con i mezzi di comunicazione, troppe cose in mano ai maghetti da effetti speciali via InterNet e troppo scarsa la sostanza dell’informazione.

Pecche cui si può porre rimedio, queste, solo che ci si pensi. Alla malagrazia ed alla maleducazione di coloro che snobbano una maglia rossocrociata, invece, si avrebbe modo di rispondere solo con atti di persuasione se non di forza. Perché, amici cari cui la Nazionale sembra far schifo, di una cosa dovete ricordarvi: se siete giunti laddove siete giunti, e certo vi si augurano ogni bene ed ogni possibile successo, è anche merito dell’“humus” in cui e su cui siete cresciuti, cioè un Paese nel quale nessuno ti lascia fuori dal sistema scolastico per via del colore della tua pelle o per il tuo credo o perché vivi in una periferia. Così: se non per riconoscenza, merce ormai rara a queste latitudini, almeno per giustizia.

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