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Hockey / Sgambatina in amicizia, all’Ambrì il “test” con i Rockets

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Nulla era da aspettarsi, per questioni legate ai carichi di lavoro ed alla condizione di forma da costruirsi giorno dopo giorno; e di un sostanziale nulla si parla, nel 3-1 ottenuto oggi dall’AmbrìPiotta a Biasca sui BiascaTicino Rockets, amichevole hockeystica con scarto di una categoria (National league versus Swiss league). Di un nulla, fatta eccezione per l’essere stato questo un evento “in sé”: di nuovo ghiaccio con lame lucenti, di nuovo bastoni ad incrociarsi, di nuovo l’emozione di vedere gente che scavalca la balaustra per entrare in pista. Ci si contenta di poco, noialtri màiagiàzz, ma di quel poco che è linfa vitale.

Nessuno, tra i 600 spettatori presenti per incasso sui 10’000 franchi a rigor di prezzi calamitosi, avrà trovato modo di lamentarsi per quel che in pista è stato espresso. Circa il pubblico, diremo, la questione-mascherine non è stata ben digerita da tutti, e salutiamo in particolare la sciôra bipargolareggiata ad un tocchello dalla panca di casa, quasi sopra Éric Landry esordiente allenatore per i biaschesi; si garantisce tuttavia la serietà dell’organizzazione schierata in assetto anticovidiano, almeno all’ingresso. Sulle squadre: nell’Ambrì, che da una settimana sta viaggiando a ritmi di doppio allenamento quotidiano, molte le assenze per infortunio o per scelta di rotazione, sicché in presidio della gabbia è stato posto Damiano Ciaccio, di rado sottoposto poi a vera pressione. Stiloso Jiri Novotny, schierato con i leventinesi pur essendo egli destinato alla quota contrattuale per i Rockets in qualità di “farm team”; nessun apparente postumo da infortunio, goal della vittoria al 53.13 su assist di Dario Rohrbach, sicché si capirà d’acchito che, pur prevalendo i biancoblù per gioco sviluppato e per pattinaggio e per intesa insomma per le solite cose che si raccontano quando bisogna dar corpo ad una partita da anteprima dell’anteprima, per fissare un punteggio e per dare un senso all’incontro ci si è dati appuntamento alla metà discendente dell’ultimo periodo, avendo in precedenza apposto firme Johnny Kneubuehler (19.33, di fatto su disco in gentile omaggio da Viktor Östlund portiere avversario) per gli ospiti e Robin Schwab (53.13; vuol essere più centro che ala, e per fare il centro in modo efficace gli servono otto chili in più a pari velocità. Ma nelle giovanili dello Zugo era discreto) per i Rockets. Timbro ultimo (59.06, a porta vuota) da Noele Trisconi, cui andrebbe anche un virtuale primo posto per impegno e per livello di preparazione; sullo stesso gradino Matt D’Agostini che vabbè, il suo fa dal momento in cui accende la luce nel palazzetto a quando se ne va per ultimo – è un modo di dire, non ci si prenda alla lettera – dagli spogliatoi, e non perché sia lento nel fare la doccia. Forse i Rockets sarebbero riusciti a sfangarla ed a tirarla oltre i 60 minuti regolamentari e magari anche a vincerla se, funzionalmente al “try-out” in corso con vari elementi potenzialmente organicabili, Éric Landry non avesse voluto dar spazio (20 minuti, terza frazione) anche a Darian McTavish, 21 anni a novembre, canadese di Carp titolare di licenza svizzera e figlio di Dale McTavish giocatore e poi allenatore; ma anche i suoi, o per meglio dire quelli che potrebbero diventare suoi compagni, sul finale non ne avevano più pur gettandosi in folate a ridosso della blu altrui e lasciando metri quadrati privi di presidio, ed a questa stregua qualche incertezza ci può stare.

Niente male è parso poi un attaccante d’ala, al secolo Josselin Dufey da Forel nel Canton Vaud, fresco di triennio nel Saskatchewan e non per la pesca del temolo artico al Lago Wollaston: con i Notre Dame Hounds di Wilcox, nella Smaaahl che è poi una bella anticamera per gli “junior A” della Western hockey league, 50 goal e 56 assist in 133 incontri; potrebbe essere un 13.o attaccante quasi sistematico, già così com’è. Ma no: dovrebbe disputare il posto a colui che venne preceduto dalla fama, e che invece del “comeback” compiuto non ha dato prova. Non facciamo il nome per non scatenare l’ululeggìo di coloro che già giurano sull’essere Julius Nättinen (ops, ci è scappato) il nuovo Dominik Kubalik; ma una fiammata, o una giocata d’estro, o la traccia di due scambi in punta di lama, questo almeno si fosse visto per far brillare gli occhi ai tifosi e per mandarli via con la soddisfazione d’aver ben speso i soldi del biglietto. Così non è stato, ed amen: l’hockey agostano, del resto, vale quanto un torneo a biglie di ghiaccio nel Kalahari.