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Pala & piccone / In palestra, da domani, niqab per tutti…

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Si rizzano le antenne e si ascolta con attenzione doppia, al solo sentir mormorare di discriminazione nel mondo dello sport. Inutilmente, a volte: come è nel caso dell’odierna interrogazione presentate da due granconsigliere, Tatiana Lurati e Gina La Mantia, entrambe socialiste, cui pare (ed è una cantonata da spettacolo, seconda solo a quella del compianto Luciano Bergonzoli quand’egli credette che alla Rsi avessero iniziato a trasmettere film in sola lingua inglese, ed era invece un problema del suo televisore) che i codici di abbigliamento “imposti dalle Federazioni sportive” siano nella sostanza irrispettosi delle atlete di qualunque età, comprese “le giovani leve”, arrivando a “sessualizzarne il corpo” e senza che sia tenuto conto “degli aspetti pratici a cui ogni tenuta sportiva deve rispondere”. Una “tendenza alla sessualizzazione” di cui viene investito il Consiglio di Stato, che peraltro non ha competenza alcuna nell’esigere alcunché dalle Federazioni sportive, nemmeno a livello cantonale, e tanto basterebbe per rendere irricevibile l’atto parlamentare; una “tendenza alla sessualizzazione” che, ad avviso delle precitate, “può condizionare le giovanissime ragazze proprio nella loro fase di crescita puberale e di sviluppo identitario”. Nientemeno.

Punto nodale della presa di posizione è, ad esempio, quel che figura nelle “indicazioni sulle tenute da ginnaste” proposte come prescrizioni tecniche dell’“Associazione cantonale ticinese di ginnastica” per l’anno corrente: 12) Sul campo di gara, durante la competizione, la tenuta dei ginnasti e delle ginnaste viene regolamentata nel seguente modo: nel caso degli uomini, previsti “pantaloncini corti” per suolo e salti, “pantaloncini ginnici lunghi oppure pantaloncini corti” per anelli, sbarra e parallele, mentre nel femminile “a tutti gli attrezzi è permesso il solo costumino sgambato, e non sarà concesso alcun tipo di pantaloncino”. Sì, è esattamente così, si tratta di un criterio acquisito e condiviso e sul quale non risulta che alcun dirigente sportivo abbia mosso obiezioni. Ma Gina La Mantia e Tatiana Lurati credono di poter ravvisare, in tali prescrizioni, “specifiche differenziate per sesso che non favoriscono la parità di genere” e, “al contrario, perpetuano le discriminazioni nelle società sportive”; da ciò discenderebbero persino un rafforzamento di “stereotipi sessisti” ed una negazione del radicamento dei “valori positivi dello sport” ed una deprimente serie di “effetti collaterali indesiderati”, contrariamente a quanto è stabilito nella Legge federale sulla promozione dello sport. Sicure? Sicure al 100 per cento, le deputate, tanto da pretendere che sia scritta e diffusa “una direttiva precisa che inglobi anche la promozione della parità dei sessi”, pena l’esclusione dei reprobi (cioè di coloro che non si volessero adeguare a cotanto “ukase”) dai finanziamenti pubblici. Sull’esistenza di “molti ostacoli all’eguaglianza ed alle pari opportunità” – in ciò si conviene con Tatiana Lurati e con Gina La Mantia – non vi sono dubbi, né restano incertezze sull’importanza di trovare strumenti per rimuovere tale evidenza. Enorme invece la perplessità sul fatto che la discriminazione cessi se diventano uniformi per uomo e donna, o per ragazzo e ragazza, i costumini da utilizzarsi in gara e solo in quella (per gli allenamenti ciascuno fa quel che vuole: se uno preferisce correre con i pantaloni lunghi in “gabardine” o con gli scarponi da militare, fatti suoi, ne andrà solo dei risultati).

Ponendosi nel frattempo una domanda di base alle due parlamentari, e cioè a sapersi se esse abbiano mai avuto un contatto qualsivoglia con lo sport da atlete “serie” (si accettano anche l’indiaca ed il volano), aspettiamo il prossimo passo: per non mancare di rispetto a nessuno, niqab per uomini e donne sulle piste di atletica, e burkini d’obbligo collettivo in piscina?

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