Home CRONACA «Ho il “Coronavirus”, mi servono soldi»: truffa del falso nipote a segno

«Ho il “Coronavirus”, mi servono soldi»: truffa del falso nipote a segno

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Nell’emergenza si prova a chiedere; e, se ci si trova dall’altra parte, si è portati a dare. Sotto l’impulso della mozione degli affetti, e per di più subendo richieste via via più pressanti, vittima di una truffa del falso nipote – a darne notizia sono fonti della Polcantonale – è stata l’altr’ieri una persona residente nel Luganese; truffa nella formulazione adattata ai tempi, una sorta di versione 2.0 del dramma presunto, e cioè sempre con impellente richiesta di denaro ma per emergenza legata al “Coronavirus”; in altre parole, il truffatore si è spacciato per un parente al momento ospite – causa Covid-19 – di una struttura ospedaliera del territorio e, per tale condizione patologica, nella necessità di sottoporsi a terapie urgenti e non differibili. Si obietterà: come se non vi fosse copertura finanziaria per tali prestazioni sanitarie, per dire; eppoi, come se uno che si trova in terapia intensiva potesse liberamente mettersi alla ricerca di cugini agnati cognati ed altri da cui farsi pagare il soggiorno ed i trattamenti in ospedale; tutto vero, ma non qui s’ha da esprimere un giudizio sull’accaduto, mentre volentierissimo si agirebbe – fors’anche un passo al di là di quanto la legge consente – su faccia e glutei di simili malviventi.

La vittima, certo, ci ha messo del suo. Chissà quali verifiche avrà esperito, sempre che le abbia effettuate; come riferisce il portavoce della Polcantonale, il sedicente malato avrebbe detto di trovarsi in “un ospedale della regione”, dal che sarebbe stata esclusa ogni possibilità di contatto diretto proprio per via del ricovero e del possibile rischio di contagio; di più, la richiesta è stata esaudita previo prelievo di varie migliaia di franchi da un conto bancario (prelievo effettuato allo sportello, pare di poter capire; mah…) e con la consegna diretta della busta con i contanti. A chi? Tocco finale: ad un soggetto che si sarebbe presentato all’appuntamento dichiarando di essere un dipendente della struttura nosocomiale il cui il sedicente parente era ricoverato. E, da lì, denaro sparito e “contatto” in fuga.