Home CRONACA Pala & piccone / Autoschedatura al ristorante, un “flop” da barzelletta

Pala & piccone / Autoschedatura al ristorante, un “flop” da barzelletta

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Straniero, sei nella mia città: dimmi il tuo nome, da dove vieni, chi ti manda, dove alloggi e soprattutto quando riparti: in quei termini era la sceneggiatura da “western” di second’ordine che, nel nome e per conto del burosauro che a fini di “armonizzazione” è sempre pronto a regolamentare l’altezza e l’orientamento dei fili d’erba su un prato, baristi e ristoratori in Ticino avrebbero dovuto infliggere ai clienti quale contropartita per la riapertura degli esercizi pubblici in avvio di “fase due” dell’era covidiana. La gastrofollia da autoesaltazione sceriffale – mutuasi sippensato e siffatto aggettivo da un mondo all’altro, in uso non comune e che sfiora l’“hàpax” – fu invero stroncata da scoppi di ilarità, risate collettive, tracce di indignazione per la crassa violenza esercitata sui diritti primari del cittadino e da una mezza minaccia di diserzione dei tavoli da parte di coloro che saranno anche ospiti, ma ospiti paganti, e talmente paganti da determinare la vita o la morte di un’attività in cui siano somministrati cibo e bevande (il dispensar sorrisi e simpatia, ahinoi, non è compreso nel prezzo e non figura nel listino). Da qui la marcia indietro con rischio di ribaltamento del veicolo, cotanta fu la foga nello sganciamento da tesi sposate e propugnate senza ausilio d’un parere legale e della logica; si giunse anzi – e financo – alla comica di veder in prima linea, quali soggetti rivendicanti l’esser stati autori dell’abrogazione di vincoli e lacciuoli, coloro che la regola avevano preteso e concordato con l’autorità politica, seppellendo il codicillo in 20 parole pigramente da parcheggiarsi laddove nessuno sarebbe più andato a cercarle, giacché i protocolli da sette cartelle si situano ai limiti dell’accettabile, per estensione, financo ad un concorso letterario tipo “GialloCeresio”.

Il formulario di attestazione della presenza, concepito primordialmente quale modalità precipua per un tracciamento degli eventuali contagi sulla scorta dei contatti, era peraltro stato declinato su toni intimidatori (nome, cognome, numero di telefono, numero del tavolo ed altre due informazioni) degni d’una dittatura da Repubblica bananiera, stile “Yo soy el capataz, yo soy el supervisor”, e secondo criteri impositivi financo se ci si fosse fermati per un caffè al volo (preparazione tazzina e consumo contenuto: 50 secondi; compilazione modulo, 70 secondi). Un modulo di tal fatta ancor circola, ché i ristoratori preferiscono esaurire quanto inutlimente stampato anziché buttarlo via; ma il suo valore intrinseco decadde “d’emblée”, passando in meno d’un “amen” dall’“Obbligatorietà inderogabile incontrovertibile immarcescibile guai-a-te-se-salti-una-cifra-nel-numero-di-telefono” al “Se ti va compilalo, se non ti va lascialo lì”, sottotitolo “Ci abbiamo provato ma era un’idea mengàtile”, al che si dovrebbe rispondere che quella non era nemmeno un’idea ma un parto decerebrato da tizi che vogliano mostrarsi landfogteschi più del landfogto, e che in simili vesti e con simili modi ti landfogtono con l’attenuante del farlo a loro insaputa. Memento: si può anche raccontare al pueblo maloliente che numeri e nomi rimangono registrati per giorni 14 e non un minuto in più e che poi essi vengono distrutti, ma l’amico informatico ci guarda sopra le lenti degli occhiali e replica che, di massima, un dato “eliminato” è né più né meno che un dato semplicemente “nascosto” da qualche parte del sistema con cui esso è stato registrato, tanto per capirci.

Bon, e la si chiude: sereni, il problema della tutela della nostra/vostra “privacy” non dovrebbe porsi, quantomeno alla luce di quel che si riscontrò – oh, visite “ad capocchiam”; oh, nulla di strutturato e di stratificato secondo scienza statistica; eppure, ad orientamento univoco – in tre giorni dalla riapertura di bar e ristoranti, totale riscontri 13 (coinvolti conoscenti e parenti) sotto altrettante insegne, unica fascia trascurata rimase quella dei locali “vip” ma capirete che si preferì investire il “budget” in modalità diffusa. I fogli, eccome; i fogli ci sono, e non vi è stato luogo in cui il personale del ristorante – si sa, nei primi giorni è come al militare, tutti brillano per efficienza e rapidità di risposta – si sia scordato di sottoporli all’attenzione del cliente; circa il tasso di formulari riconsegnato previa completa compilazione, tuttavia, si viaggia attorno al 15-20 per cento, e già par strano cotanto aderire all’istanza. Piuttosto, sempre che si voglia credere al peso delle norme vere: distanziamento fisico, distanze fra i tavoli, distanze all’atto del pagare, abbigliamento di servizio, pulizia dei bagni, spazi di passaggio, solo servizio ai tavoli, tutto in regola, davvero?