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Covid-19, altra pensata: flussi dei frontalieri sulle sole dogane maggiori

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Da qui si passa, da qui no. Nel senso: la frontiera sud resta aperta (spalancata, direbbe qualcuno), e tra l’altro stiamo ancora cercando di capire quali suggerimenti “interessati” siano stati insinuati, tre giorni addietro, mentre Roma imponeva cose a Berna ed a Berna uno riferiva all’altro in Berna e poi Berna parlava con Bellinzona, ricordando con petulanza – quasi che di ciò vi fosse bisogno – che i confini sono competenza federale e che dunque gli autorizzati in permesso “G” dall’Italia sarebbero passati; con effetto immediato, però, vengono sigillati vari valichi stradali minori fra Italia e Svizzera, giù la barriera come ad un tempo si usava nottetempo in gran parte dei punti di transito, chi arriva e trova chiuso o aspetta o si fa un giro per altra strada. Il motivo? Beh, sarebbe cosa su cui ridere se l’intera questione non dipendesse da un’epidemia qual è quella determinata dal Covid-19: oltrefrontiera non sono in grado di garantire quei controlli che l’autorità politica nazionale, per voce di Giuseppe Conte presidente del Consiglio, aveva invece dato come certi ed infallibili ed indefettibili.

Presidio o non presidio – Per prima cosa, nomenclatura e dunque elenco. In conferenza-stampa a Berna, stamane, la parola di Christian Bock in quanto direttore dell’Amministrazione federale delle dogane: al fine di canalizzare i controlli (e sul versante sud, da parte elvetica, sono dislocati 83 “contingenti” che a rotazione si occupano di verifiche in prima ed in seconda linea), giù la sbarra in nove punti di confine che di fatto erano affidati alle sole telecamere, senza presidio immediato di elementi della Guardia italiana di finanza e/o di Guardie di confine. Lista completa delle chiusure con doppio riferimento (svizzero ed italiano): Chiasso frazione Pedrinate (quello del cippo di confine 75b, il più a sud della Svizzera) su Colverde frazione Drezzo (Como); Novazzano frazione Ponte Faloppia su Bizzarone (Como); Novazzano località Marcetto su Bizzarone (Como); Stabio frazione San Pietro su Clivio (Varese); Mendrisio frazione Ligornetto località Cantinetta su Clivio (Varese); Mendrisio frazione Arzo su Saltrio (Varese); Monteggio frazione Ponte Cremenaga su Cremenaga (Varese); Monteggio località Cassinone su Luino (Varese); Gambarogno frazione Indemini su Maccagno con Pino e Veddasca (Varese). Da Berna indicano anche quali siano i valichi utilizzabili più prossimi; si suppone in realtà che il frontaliere dal Comasco o dal Varesotto sia perfettamente a conoscenza delle alternative, ergo si soprassiede e ci si contenta di approvare la discriminante: intervento di natura tecnica, in fondo si tratta di un ritorno (con accentuazione) al passato.

Cui prodest? – Più che sensazione, una certezza di fondo: non era, questo, un bisogno della Svizzera, mentre si trattava e si tratta di una necessità tutta italiana. Dal cui Governo, forte con i deboli e debolissimo oltre che contraddittorio nelle strategie sul contrasto all’epidemia da Covid-19, era infatti stato autorizzato il flusso del personale frontaliero sul territorio del Canton Ticino, con garanzia di controlli martellanti e puntigliosi sugli aventi effettivamente diritto al transito, ergo solo per motivi di lavoro (esclusi, pardon, dimenticati gli studenti, tanto è elevato a Roma il grado di conoscenza delle realtà di confine) e solo se in possesso del permesso “G”. I controlli sono poi scattati, e dicesi “poi” perché in prima battuta mancava una nota esplicativa sull’attuazione di tale provvedimento, e da parte di chi, e con quali conseguenze per i reprobi. Nell’immediatezza dell’atto decretale, qui a bottega, era stata rilevata l’inapplicabilità “in extenso” di tale provvedimento: proprio per il rispetto che si deve e che si porta alla Guardia di finanza, alla Polizia di Stato, all’Arma dei Carabinieri e ad ogni altro ente coinvolto, l’operatività ai limiti dell’essenziale già nell’ordinario è talmente nota da far presumere come impossibile un incremento delle attività di servizio sul complesso delle frontiere, per di più a rigore della dichiarata capillarità dei controlli annunciati.

Esito infausto – All’avvio effettivo dei controlli (avvio effettivo e tardivo, e con incertezze tali da generare perplessità fra gli stessi operatori), come rilevato sin da ieri in cronaca, i frontalieri hanno incontrato problemi di vario genere: respinti (su intervento degli addetti in presidio sul versante italiano) quelli privi di autocertificazione e di permesso “G”, respinti (idem) quelli con autocertificazione e che il permesso “G” avevano lasciato a casa, ammessi tutti gli altri ma con formazione di colonne che si sono ripetute stamane, per esempio, al confine di Ponte Tresa (code sino all’inizio del tratto in discesa da Marchirolo in provincia di Varese, di nuovo problemi sul passaggio al Gaggiolo, un po’ meglio la situazione sul fronte del Gambarogno via Dirinella). Si lascia al lettore la facoltà di immaginare quale effetto produrrà la chiusura di nove valichi minori, piccole ma decisive valvole di sfogo su cui però le forze dell’ordine italiane non avrebbero avuto modo di agire in modalità continuativa, alla luce primariamente (ma non solo) dell’insufficiente dotazione di effettivi e di mezzi. Checché possano sostenere e dichiarare da Berna, la decisione è indotta; e magari si vorrebbero anche vedere le carte sugli scambi di informazioni e di richieste, ma non è questo il momento.

In immagine (grazie agli amici del gruppo “Vecchia Varese”, il punto di valico ad Arzo su Saltrio ad inizio Anni ’50.