Home CULTURA Addio al “Caffè”, compagno di viaggio per una generazione

Addio al “Caffè”, compagno di viaggio per una generazione

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Oggi, domenica 4 luglio, cessa l’esperienza editoriale del “Caffè”, dapprima quindicinale e poi settimanale pubblicato in Locarno per i tipi della dinastia Rezzonico. La notizia della chiusura, che per noi dell’ambiente era da mesi una mera questione di data e di strategia, era stata data ad inizio maggio sulle pagine del quotidiano “Le temps” e venne confermata sulle pagine del “Caffè”, con una “take” da 24 righe dattilo, nel primo numero seguente a quell’annuncio; solo qualche anima bella si stupì o si meravigliò o finse di farlo, sapendosi che la dilatazione dei tempi sino all’estate 2021 era solo funzionale al perfezionamento di alcuni percorsi e dunque all’inquadramento necessario per far proseguire l’attività su altri prodotti editoriali. Stamane l’editoriale di Giò Rezzonico per il congedo.

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Bizzarra fu, e si parla ormai d’un bel quarto di secolo addietro, la premessa di… comunicazione alla prima uscita del “Caffè”. Bizzarra: non per assurdità (non c’è mai nulla di assurdo nelle parole e nei concetti con cui un giornale viene lanciato), ma per stranezza ovvero singolarità del contesto. A far da volano per la nascita del periodico, fra il 1994 ed il 1998 concepito come periodico di intrattenimento e poi – sulla scia del matrimonio rato e consumato con il gruppo multimediale “Ringier Ag” – quale domenicale di informazione e di approfondimento fu infatti il… “Mattino della domenica”, che per primo era andato a solcare le onde dell’uscita nel festivo e che dunque si sarebbe trovato – tale era il pensiero generalmente convidiso – un concorrente proprio in casa e su suo bacino. Qualcuno pensò che si sarebbe scatenata una guerra a colpi di invettive, qualcuno credette che l’uno si sarebbe dedicato ad ignorare l’altro in modo scientifico; proprio sul “Mattino”, invece, uscì una paginata nel segno dell’intervista secca, tre persone nel salotto di Silvio Flavio Maspoli a Minusio, due a porre domande e Giò Rezzonico ben disposto a rispondere dichiarando la linea. Contammo, alla fine, qualcosa come 18 espressioni ripetute e reiterate e fatte sempre riemergere: “Guardare avanti, un giornale per guardare avanti, un giornale che guarda avanti”. In sé, un concetto, ma quel tipo di concetto cui aggiungere polpa e sugo; sulla stessa falsariga ci avevano provato non pochi, e si direbbe che a tutti era andata male, anche con i quotidiani, se non malissimo.

Non è tempo e non è luogo, questo, per rivangare questioni che circolarono attorno all’imporsi del “Caffè” all’attenzione dei ticinesi. Certo, il neonato si prese una fetta di pubblicità. Certo, il neonato ebbe da sempre un’impronta, anche politica: che era però quella di Giò Rezzonico e di Lillo Alaimo suo sodale, non di coloro cui la presenza di un giornale di questo tipo sembrò occasione per salire sul tram e per sdottoreggiare (e qui si dovrebbe ricordare che a fare i giornali sono i giornalisti e non i “blogger”, non gli “ospiti”, non i rubricanti dalla “allure” inversamente proporzionale alla sintassi: con discrezione e senza dare nell’occhio, al “Caffè” questa distinzione è stata una costante. E, come sostiene da una vita Libero D’Agostino che al “Caffè” ha concluso la carriera – per intervenuto pensionamento – appena qualche mese fa, un giorno o l’altro bisognerà anche piantarla con quelli che si credono giornalisti perché trascrivono un comunicato-stampa o perché hanno scritto cinque lettere alla fidanzata). Sulla storia del settimanale che sarebbe stato ideato per contrastare il “Mattino della domenica” e per uccidere la Lega dei Ticinesi esistono tesi e versioni inconciliabili, e probabilmente ciascuno rimarrebbe della sua opinione anche se si discutesse da qui all’eternità. Certo, il sistema della distribuzione gratuita nelle cassette venne mutuato da altri. Certo, chi non si riconosceva nella cifra e nel messaggio del “Mattino della domenica” trovò uno strumento informativo in alcune parti più classico e più canonico, ma non per questo privo di punte acide – il lavoro d’inchiesta è roba acida e che può spiacere a taluno – che erano state una tra le chiavi del successo del “Mattino della domenica” medesimo, e chi c’era potrà raccontarlo, qualora abbia voglia. E via così, potendosi anche ricordare di un effimero ma bel tentativo di portare il “Caffè” in versione quotidiana, con notizie fresche ed impaginate e trasferite in forma .Pdf direttamente nella casella “e-mail” degli utenti registrati, consegna ore 17.00 al massimo, sul rientro a casa la possibilità di una lettura rapida e prima del tiggì o del radiogiornale; “ex post” sarà detto che quella non era la formula giusta, ma anche qui corre l’obbligo di ricordare che nell’editoria si va a bersaglio passando anche attraverso tentativi di interpretazione dei tempi e delle tecnologie; una fruizione sempre più veloce della notizia comporta l’utilizzo di mezzi che si evolvono, dovendo gli attori ed i mediatori della notizia trovare anche il coraggio di mettere da parte quel che non è più rispondente al bisogno. Dalle parti del “Caffè” sono passati tanti colleghi con i quali sono state condivise esperienze in altre redazioni: un nucleo, già in quota “Eco di Locarno”, era transitato nel gruppo della “Regione” per effetto della fusione tra “Eco” e “Il dovere”, e poi apparve nell’ossatura o tra i collaboratori dell’“altra Notizia”, qualcuno scegliendo di fermarsi a metà corsa, qualcuno giungendo sino al capolinea. Poi l’integrazione con nuove e più giovani forze, non faremo nomi perché nel giornalismo circolano già fin troppi venti celebrativi o autocelebrativi ed invece siamo tutti operai che portano un mattone e lo incasellano nel muro, o nel ponte, secondo i casi. Una cifra, sì, chi era al timone del “Caffè” ha sempre avuto: la cifra delle note dentro il pentagramma, fors’anche per via dello stile sabaudo cui Giò Rezzonico si è da sempre ispirato e che in qualche modo, per contiguità territoriale con il Piemonte, ha permeato Locarno essendo “Il Caffè” un parto locarnese ed essendo i Rezzonico in quanto editori fortemente ancorati al “modus cogitandi” locarnese (ahinoi, di una Locarno che sta scomparendo. Una prece).

Criticabile, il “Caffè”? Oh, beh: volendosi, si può sempre. Per il filoeuropeismo, per le firme italiane, per lo spazio dato a temi ossessivi, per il risuonare di certi temi che, se ripetuti di settimana in settimana, rischiano di diventare stucchevoli (ma occhio, questa è la percezione di chi non legga abitualmente un quotidiano). Ma nell’impianto, al di là della titolazione che serve per richiamare un’occhiata, stiamo parlando di un periodico che è stato capace di viaggiare in seconda classe, e di viaggiare con discrezione. L’ha fatto anche oggi, all’ultimo numero: con articoli come ad ogni settimana, in bella e piena evidenza, cronaca e commenti; per l’addio ai lettori, un semplice “Comunicato dell’editore” con il congedo, con alcune spiegazioni (sintesi delle sintesi: non vi sarebbe stato futuro) e con i ringraziamenti a quanti hanno partecipato alla storia. A fianco, perché bisogna sempre rispettare chi ti ha dato fiducia, un invito agli abbonati digitali: contattate l’editore “per la gestione delle durate residue” degli abbonamenti sottoscritti. E in ultimo, sicuro, gli auguri alla nascente “Domenica” di cui, sotto le volte della corazzata CdT (dove nel giro di un anno o poco più approderanno anche la “Tessiner Zeitung” e “TicinoWine” ed altri prodotti editoriali), sarà caporedattore Mauro Spignesi, in arrivo proprio dal “Caffè”.

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