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A caccia di pedofili per pestarli e ricattarli: 19 fermati, 18 sono minorenni

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Erano in 19, leggasi bene, di-cian-no-ve; 19, per essere precisi, quelli che sino ad ora sono stati fermati. Ed agivano, eccome: non a fini di denuncia, non da “infiltrati” d’intesa con le forze dell’ordine (che, s’intenda, altri e più articolati metodi e strumenti adottano nelle inchieste da sottobosco, e di certo non mettendo a repentaglio uno o più minorenni), ma per vestirsi da angeli vendicatori (nella migliore delle ipotesi) e soprattutto per prendersi il gusto di assalire in branco, colpire, ferire, malmenare, rapinare e ricattare i soggetti che con artifici vari avevano fatto abboccare; soggetti in odore di pedofilia, i loro bersagli, come quel 49enne condannato giusto ieri a Lugano per il tentativo di intrattenere rapporti sessuali con un minore, ed in aula era stato per l’appunto confermato che l’omuncolo era in realtà finito nella trappola orchestrata da terzi che con il trucco del “sesso facile” si erano prodotti in un gioco di adescamento via InterNet, ovviamente falsi i profili e falsissime le promesse di mercimonio ad alto brivido con una Dolores poco nabokoviana ma assai Lolita, chi voglia intendere. 19, rileggasi, di-cian-no-ve; tra di loro, uno ha solo 18 anni. Ed è il maggiore, nella “gang” sgominata tra martedì e ieri con intervento di agenti della Polcantonale nel solo Distretto del Luganese: il maggiore. Gli altri, i cui vari gradi di responsabilità sono da stabilirsi, hanno infatti fra i 17 ed i 14 anni. Non per questo meno delinquenti, non per questo, anzi.

Squallido il tema; squallidi – si sottolinea, senza sconto alcuno – gli adulti che credevano di aver trovato una porta girevole verso il piacere perverso, entrare consumare uscire reiterare. Aggancio su qualche “Facebook”, su qualche “X”, su qualche “Snapchat” il cui messaggio si autodistrugge, su qualche “Tinder” o quel che fosse; conversazioni proseguite ed “indirizzate” su altri canali, sempre schermo contro schermo, sino al tempo di fissare un incontro che l’adulto pedofilo aspetta e brama come massima gratifica; all’apparir del vero, la disillusione ed il passaggio improvviso da cacciatore a preda. Altro che “incontri a connotazione sessuale”, secondo l’espressione proposta dalla magistratura dei minorenni e dal portavoce della Polcantonale; altro che contatto informatico pronto a tradursi in congresso carnale; altro che accarezzamenti e stimolazioni “one-to-one”; gli appuntamenti si traducevano d’improvviso in sorpresa, paura, terrore, ché ad un primo interlocutore – non la persona attesa, certo, ma almeno “una” sola persona – si associavano via via altri, nessuno dei quali ben intenzionato. Un “modus operandi” forse ispirato ai film sulle “gang” o alle cronache da “banlieu”, Parigi e Milano insegnano, il resto è dato dalla rete dove scarseggiano le lezioni di educazione civica ma abbondano e sovrabbondano i cattivi maestri. Ed ecco l’ingresso non già nel desiderato giardino delle nequizie malintese come delizie, ma in un inferno di sofferenza e di ansia e di vergogna: il cercatore di esperienze sussultorie si ritrovava bersaglio di una spedizione punitiva, isolato, messo alle strette, costretto ad umiliarsi eppure egualmente vessato. Di quel che gli investigatori hanno scoperto si può soltanto dare un resoconto nelle forme delle ipotesi di reato promosse “a vario titolo”: lesioni gravi, aggressione, coazione, rapina, sequestro di persona ed estorsione. Non solo: i momenti topici erano documentati con riprese video destinate a circolare da “Smartphone” a “Smartphone”, diventando materia di condivisione (“in parte con terzi”, recitano le fonti ufficiali) senza filtri e senza confini.

Prematuro il rilascio di altre informazioni, standosi al magistrato dei minorenni cui spetta il coordinamento delle indagini; ciò significa che il divenire degli atti istruttori è purtroppo ben gonfio e che già al presente sono emersi aspetti allarmanti. Di converso, da considerarsi anche la posizione di “coloro che sono entrati in contatto con il gruppo”: in corso accertamenti finalizzati a “stabilire la sussistenza di possibili comportamenti di rilevanza penale” anche per costoro. Se tanto ci dà tanto, e la sentenza emessa ieri a Lugano fa da testimone, ebbene sì: la possibilità c’è, 100 su 100.