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L’editoriale / Verdi, o dell’insana fretta di vendemmiare uva acerba

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Sparando alla cieca il nome di Regula Rytz per un seggio in Consiglio federale, e con attacco diretto e premeditato ad Ignazio Cassis in quota liberal-radicale o radical-democratica che dir si voglia, i Verdi svizzeri riuscirono ieri nell’impresa di compiere un suicidio politico del quale essi rischiano di pagare conseguenze pesanti all’interno ed all’esterno, da oggi e per l’intera legislatura apertasi in effetti con la conferma dell’intera compagine di governo. Suicidio politico, e per difetto di mezzi, di strategia e di tattica, e con dimostrazione pratica di due errori: scarsa conoscenza del sistema da una parte, assenza di visione a medio e lungo termine. In parole povere, la prova dell’immaturità ad essere parte dell’Esecutivo, e la prova dell’immaturità ad essere forza con attitudine all’esercizio ed alla gestione del consenso.

Far di peggio, nell’ultima settimana e sino a metà della mattinata di ieri quando ebbe luogo la conferma (non brillantissima nei numeri, ma nemmeno disprezzabile) di Ignazio Cassis, sarebbe stato difficile: pur trainando dalla propria parte i socialisti, e potendo contare sull’appoggio di una quota almeno dei Verdi liberali (la cui massima parola di sostegno si è tradotta nella libertà di voto: categoria “Ci stiamo di principio, ma non si va da nessuna parte e noi non buttiamo via una caparra di buone relazioni che stiamo cercando di costruire”), più di quegli 80-85 voti su una maggioranza da almeno 120-122 non vi sarebbe stato modo di raccogliere. Ed allora, perché l’incaponirsi su un percorso presidiato da cartelli sul tipo “Attenzione, strada chiusa”? Per dare un messaggio, si dirà ora; per dar voce a quanti ci hanno sostenuto nelle urne; per marcare presenza, per far capire che non facciamo sconti a nessuno, per imporre i nostri temi, per rendere manifesta la nostra realtà. Tutte cose interessanti, ma con le quali non si batte chiodo laddove, come prima cosa, non esiste vincolo di proporzionalità (tanto che per assurdo, e qualora tale fosse la decisione della maggioranza nell’Assemblea federale, in Svizzera ci si potrebbe trovare con un Governo composto da sette udicini o da sette liberali-radicali o da sette popolari-democratici. Regole note).

Vari furono i difetti di fabbrica nell’operazione messa in piedi sull’approssimarsi della data fatidica. Sovrastima del proprio credito? Sicuro: non sussistendo obbligo alcuno di far misura sul dato elettorale “in sé” (in caso contrario, la presenza di un secondo udicino nell’Esecutivo sarebbe maturata assai prima, quand’invece essa crebbe in giudicato dopo anni ed anni di maggioranza relativa nelle urne), i Verdi hanno agito più o meno come quelli che rastrellano in Borsa un “ics” per cento dei titoli di un’azienda quotata e dall’azionariato diffuso e si propongono in assemblea ordinaria con la richiesta di un posto nel Consiglio di amministrazione. In alternativa, e prendiamo la metafora dal mondo sportivo professionistico degli States, come il nuovo proprietario di una franchigia Nhl che nella conferenza-stampa di presentazione pretenda dalla comunità la costruzione di un nuovo impianto. Lieve differenza: l’azionista che rimanga insoddisfatto nell’istanza prefigurata potrà diventare una palla al piede – sino ad essere molesto, dettando quindi parte dell’agenda al Consiglio di amministrazione – durante l’attività ordinaria; ed il padrone di una franchigia, muovendo qualche pedina ai massimi livelli, può anche giungere a minacciare un trasferimento della squadra dal che deriverebbe una perdita di valore (e di indotto) per la città. Ma qui, che cosa si pensa di fare? Un’opposizione senza quartiere in aula, sino all’ingolfamento dei lavori? Una resistenza extraparlamentare a colpi di iniziative e di “referendum”? Molto bene; ma tutto questo è già stato sperimentato, tutto questo è già stato considerato, tutto ciò fa parte della partita invisibile propria della politica.

L’assalto al seggio di Ignazio Cassis (a “quel” seggio, non ad “un” seggio quale che fosse) fu poi viziato dall’incapacità di comprendere che i diritti della minoranza italofona erano e sono perlomeno equipollenti alle istanze del rinnovamento in senso ambientalistico. Mettiamola all’inverso del reale, facciamo cioè che dalle “sliding doors” del palazzo fosse ieri mattina transitata vittoriosamente la candidatura di Regula Rytz a danno del consigliere federale in carica: persino tra i non-nostranisti, persino sul “Blick” sarebbe scoppiata una bufera non dissimile da quella conseguente al “coup de poignard” dell’ormai oblita figlia di già onnipotente – già, come si chiamava colei? – ai danni di Christoph Blocher. Sapete com’è: tutti bravi quando si tratta di tirare il mattone potendo nascondere la mano, ma se la mira è scarsa può anche capitare che quel bolide ti ricaschi sulla testa. L’attacco diretto senza una base di consenso almeno possibile, se non probabile, sarà di sicuro rivendicato come “test” e come indicazione destinata all’interno della galassia verdista. Quale conseguenza reale, esso isola i Verdi dal dialogo di concertazione e li pone in difficoltà anche nelle relazioni prossime venture con lo schieramento più “politicamente” di sinistra, laddove qualcuno – per esempio, tra i socialisti – sta incominciando a comprendere che sussiste il rischio di finire cannibalizzati o lacerati proprio dall’alleato improvvisamente pervenuto alla doppia cifra percentuale: una soglia che inebria, che fa immaginare scenari ridondanti, ma che conduce talvolta a valutazioni da film, quasi che il dato presente sia da considerarsi come acquisito ovvero trampolino di lancio.

Di più, e di peggio: mandando allo sbaraglio Regula Rytz (bruciata, a questo punto, per eventuale ricandidatura in altra occasione; non è, per dire, una Karin Keller-Sutter), i vertici dei Verdi hanno generato un’impressione di insicurezza, quasi che essi medesimi non credano di potersi confermare su questi livelli. E chi può escluderlo, chi?