Home CRONACA Aeroscalo di Agno, anche Lugano sceglie di tenere aperte le ali

Aeroscalo di Agno, anche Lugano sceglie di tenere aperte le ali

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Notizia secca, e se vi va basteranno queste otto righe, potendosi cioè trascurare la rava e la fava seguenti: per ora l’aeroporto di Lugano-Agno è salvo, c’è il “sì” del Consiglio comunale di Lugano alla copertura del disavanzo (quasi sei milioni di franchi, sino all’anno 2020), c’è il “sì” alla ricapitalizzazione, c’è il “sì” ad agire nel medio termine, c’è il “sì” a darsi d’attorno per cercare soluzioni, c’è il “sì” a tener viva la speranza perché quel che oggi è lettera di intenti, per dire degli annunciatisi dirigenti della compagnia “Lions air” et cetera, forma contatto con auspicabile sviluppo in contratto, e tale presenza in gestione del volo sulle tratte Lugano-Ginevra e ritorno ridurrebbe almeno di un terzo, se non della metà, il “deficit” annuale di esercizio. Timbro del Legislativo, stasera, a Palazzo civico, voto finale con 43 favorevoli, un astenuto ed 11 contrari. Risolto? Più o meno. Mormoravano e sussurravano infatti, i latori principi della “politique politicienne” dilatantesi dalle sponde del Ceresio a piazza Della Riforma in Lugano, che le posizioni erano chiare e cristalline da giorni ed anzi da settimane, dunque ben prima che si giungesse a discutere nella sede propria; e ci si domanda allora, circa la “vexata quaestio” che dal più alto consesso politico allo “Stammtisch” d’ogni bettola è tradotta ormai in un “Che s’ha da fare con ‘sto pezzo di terra?”, perché non sia stato sufficiente un prodromico giro di “e-mail” a prolusione di cotanto evento, sì che sarebbe stata risparmiata al pubblico una rilevantissima quota delle tre ore e mezzo spese invece tra alti e bassi. Osserverete: chi va a seguire un Consiglio comunale agisce consapevolmente, e nulla del resto gli vieta di uscire quand’egli meglio desideri. Logico ed equo eccepimento, in chiave generale; ma sulle tribune, analogamente a quanto era avvenuto durante il dibattito in Gran Consiglio a Bellinzona, si era assiepata una folta delegazione di collaboratori diretti ed indiretti di tale struttura. Gente compostissima anche se sono in ballo il suo presente ed il suo futuro; piccola manifestazione nel senso del manifestarsi, ehi, siamo qui, lavoriamo a Lugano-Agno e ci premerebbe tanto il poter ancora fare quel che sappiamo fare, siamo flessibili ma non disposti a farci ripiegare come calzini destinati all’armadio dell’oblio, einverstanden?

In aula, a spuntarla – per il momento, è da dirsi, incombendo l’opzione referendaria che piace assaissimo ai verdisti ed appena un popoino ai più prudenti socialisti (prudenti, prudentissimi: su questo tema il rischio di schiantarsi sussiste per forza di cose) – è stata la linea salvatutto su consenso congiunto tra leghisti e udicini e mirabilmente prefigurato nel fine-settimana da una lettera aperta di Maruska Ortelli, già presidente del Legislativo e per l’appunto consigliera in quota Lega. La quale Ortelli Maruska aveva detto: primo, che non si buttano via 77 più quasi 200 posti senza che si sia ragionato sul logico e persino sull’illogico; secondo, che stupefacente era la dicotomia nei giudizi altrui fra un luogo e l’altro, ovvero che nello stesso partito (più d’uno, tra l’altro) una versione a tutela dell’aerodromo fosse stata spesa in Gran Consiglio mentre una tesi opposta, o quantomeno oltremodo difforme, serpeggiasse a Palazzo civico; terzo, che l’olezzo di cortina fumogena generata con olio di fegato di merluzzo sapeva alquanto di silurucchio spedito all’indirizzo di Marco Borradori sindaco e, da qualche tempo, assuntosi la responsabilità di guidare il Consiglio di amministrazione della “Lugano airport Sa”, ergo di una mossa politica un tantino bambinesca. Stesse parole utilizzate da Boris Bignasca, a perorazione della garanzia dell’esistente affinché prenda corpo un domani. In tesi diametralmente opposta i socialisti ed i “Verdi del Ticino”: per loro, “okay” il finanziamento di copertura, poi dismettere (vendendo sedime e strutture al miglior offerente, si immagina) e preparare un piano sociale per quanti un altro lavoro non riuscirebbero nel frattempo a trovare, amen; nel mezzo, Plr e Ppd ancorati al “Disposti ad andare avanti, purché”. Tantini, i “purché”, secondo distinte sensibilità e dunque secondo diverse declinazioni: purché i tempi di un progetto di rilancio siano brevi, purché si negozi a spron battuto con investitori privati, purché da qui a settembre 2020 (10 mesi in tutto) sia chiuso il “pacchetto” nel quale figurano sia la gestione dell’aviazione generale sia la gestione dello scalo. Irrompe in punta di piedi, e non è un ossimoro, Marco Borradori versione Quinto Fabio Massimo detto “Temporeggiatore”, eddai, costruiamo una maggioranza solida all together sui punti non negoziabili ed il resto verrà o non verrà, ma almeno avremo fatto quel che serve al fine di far accadere ciò che auspichiamo (traccia di applauso, traccia di mugugno; tutto nella norma).

Discuti qui, discuti là, niun però si sposta ed al voto si va; sussistendo tre rapporti diversi, norma tipo ciclismo su pista specialità australiana, prima prova e va fuori chi ottiene meno consensi, seconda prova a duello, carta vince carta perde. Tesi rossoverde, 11 voti; tesi Alleanza laica ossia Plr-Ppd, 20 voti; tesi legudicina, 22 voti. Nuovo giro, e fine corsa per i rossoverdi, legudicini ancora a quota 22, Plr-Ppd in guadagno d’un cinque per cento cioè d’una singola unità e quindi a quota 21. Qualcuno fa i conti della serva e teme l’“impasse” su vari scenari: se chi è arrivato secondo si coagula con chi è arrivato terzo, certo l’abbattimento del rapporto arrivato primo; se poi chi è arrivato primo (ed è appena stato abbattuto) si coagula con chi è arrivato terzo, muore il rapporto di chi è arrivato secondo; et cetera. Palla in mano a liberali-radicali e pipidini, rischio spaccatura ma no; Michel Tricarico, per l’onor dei Conservatori, dice che gli va bene la versione del rapporto maggioritario altrui; in casa del fu partitone si va di “time-out” in “time-out”, magari non è tornata l’ora di accendere la fiamma grossa ma vediamo di non spegnere il lumicino, cenno di assenso da Karin Valenzano Rossi capogruppo. Nuova conta: gli 11 sulla Sinistra restano tetragoni, giusto così, e dicono “no” prefigurando il ricorso al giudizio del popolo; uno si astiene; 43 propendono per il rapporto. Fatta.

Quel che sia da risolversi adesso, bon, almeno si sa. Del resto: se vôn al gh’ha la dòna bèla, l’è minga tüta sôa; se vôn al gh’ha la dòna brütta, l’è sôa e dômà sôa. E qui, al momento, la dòna ha bisogno di un bel periodo di trattamento intensivo.