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Lugano-Agno, boccata di ossigeno: il Cantone scommette al buio

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Parte l’applauso, e quanto pesano quelle dita che sino ad un attimo prima sono rimaste incrociate in preghiera o a mo’ di scaramanzia, dal muro umano sulla “Tribuna torcida”, lato presidiato da un solo cronista – schierato, sissignori; a ragion veduta – e da almeno 50 dipendenti della “Lugano airport Sa”. Parte sommesso e finisce in scroscio, alle ore 17.14, quando vien data lettura del voto sul complesso e cioè della larga maggioranza (57 favorevoli, 24 contrari, zero astenuti) che porta ossigeno allo scalo di Lugano-Agno, sulla scommessa al buio di un Cantone che non rinuncia alla prospettiva di viaggiare anche per aria, e non solo sulla rotaia come impone l’emergenza d’oggidì, esogene le cause, esterni i piantatori di grane. Gran Consiglio in quel di Palazzo delle Orsoline a Bellinzona, pomeriggio inaugurale dei lavori novembrini, clima elettrico e posizioni su tre fronti; alla fine è compatto il “sì” di un triciclo atipico, Lega dei Ticinesi più Plr più Ppd (e appoggio “condizionato” degli udicini) versus Ps e Verdi, zero postille e zero variazioni sul tema del messaggio governativo mandato all’incasso dalla coppia Boris Bignasca-Natalia Ferrara correlatori di maggioranza. Insomma, la “Lasa” resta in piedi, restano in piedi i 77 posti di lavoro, resta in piedi l’indotto da 200 occupati a varia misura. Il film ha un titolo, “Chi vivrà vedrà”, lapidario come ai tempi in cui pronunciava sentenze è il regista Claudio Zali direttore del Dipartimento cantonale territorio: “Perché dico di approvare? Perché ci serve tempo, tempo che non avremmo senza ricapitalizzazione”.

E ricapitalizzazione fu, cioè sarà, con la formula dell’aumento della quota di partecipazione del Cantone nella “Lugano airport Sa”, dal 12.5 al 40 per cento cioè da un ottavo a due quinti, in supporto alla Città di Lugano che sino ad ora detiene i sette ottavi. Modalità: credito di investimento da 2.4 milioni di franchi per quella che è a tutti gli effetti la seconda ricapitalizzazione (una prima venne posta a dimora nel 2012, sette anni dopo la costituzione della “Lasa”); credito di investimento da 920’000 franchi per la copertura della quota-parte delle perdite cumulate, a previsione sul 31 dicembre 2019, in eccesso rispetto al capitale azionario così come esso sussiste; credito annuo da 520’000 franchi su base quinquennale, e quindi per 2.6 milioni di franchi a gestione corrente, per la copertura della quota-parte di previste perdite di esercizio tra il 2020 ed il 2024. Il sindacale per garantire un presente, e quel presente su cui costruire il prodotto-aeroporto di domani. Dello stato dell’arte si è detto in lungo ed in largo, e qui riassumiamo: chiusa la linea Lugano-Ginevra-Lugano, mazzata ferale dal fallimento della “Adria airways” cui i vertici “Swiss” avevano conferito la titolarità della gestione del collegamento Lugano-Zurigo-Lugano; zero voli di linea al momento, licenza Lugano-Zurigo-Lugano restituita alla Confederazione quasi res relicta, tutti in braghe di tela per decisioni assunte lontano dal Ticino e calate sul personale dello scalo, oltre che sui passeggeri, con soverchia e stupefacente arroganza. Conferma di sentirsi tradito, Claudio Zali in versione Capitan Ticino, “tradito e pugnalato”; si volle credere che qualcosa, alla “Swiss”, costituisse motivo di interesse, “ma quelli non hanno nulla di svizzero, quelli utilizzano solo un emblema ed un nome, sono controllati da una società estera quando le politiche svizzere, le politiche di segno svizzero, direbbero ed imporrebbero di sostenere Lugano-Agno”.

Ridondante e riecheggiante il “Che fare?” di leniniana memoria, ridondante ma piazzato come ultima “fiche” sul tavolo verde al punto di non-ritorno: scongiurato il rinvio dell’argomento (di tal segno un’istanza preliminare respinta), tracce delineate nella necessità di acquisire voli di linea, nella capacità della “Lasa” di “rendersi indipendente dai dissesti” (altrui. La morìa di compagnie aeree è un dato di fatto), nella ricerca di profondità sulle trattative che sarebbero in corso (“Il discorso è allacciato”) per il ripristino delle relazioni aeree con Ginevra. Mettiamola così: se si dovesse riuscire a ripristinare uno dei due collegamenti, ai conti mancherebbe una milionata di franchi l’anno; se si arrivasse alla doppietta, conti pari almeno per la sussistenza. Nessun volo, fine delle operazioni; ma questo si sa. Da qui l’esigenza di comperare tempo; se lo comperi, hai modo anche di capire il possibile interesse dei privati (opportuni, fors’anche necessari, prospettiva la “partecipazione alla conduzione”). Nella mente di qualcuno, si dirà, sono corse tentazioni da nodo gordiano; nella mente e nelle parole, un po’ meno, risultando chiaro a tutti (o quasi) il problema strutturale ovvero il fatto che, senza ricapitalizzazione della “Lasa”, a fine novembre niente più orario ridotto, a fine dicembre – toh, al più tardi nella prima quindicina di gennaio – il fallimento da dichiararsi, automatica cancellazione di quei 77 posti e progressivo smantellamento degi altri 200 in indotto (“Il costo finanziario e sociale sarebbe in ogni caso alto, altissimo”).

In assenza di verità spendibili sul lungo periodo (certo, c’è l’ormai celebre “expertise” uscita da San Gallo e che prefigura tempi biblici per il ritorno alla redditività), e sinceramente non condivisibile – anche per debolezza degli argomenti portati; velleità ideologiche, non fondamentali di economia – l’ipotesi di uno scalo da abbandonarsi sotto il velame della decrescita felice, non c’era alternativa al tener botta. Sapendosi che denaro è stato speso, e che altro denaro sarebbe da mettersi; è il rischio da considerarsi quando alla partita esistente (i dipendenti, gli impianti, le progettualità: trattasi di valore) si aggiunge una partita invisibile. Ah, vero: è materia su cui dovranno riorientarsi anche nella Lugano politica, dove tra liberal-radicali e leghisti, su questo aspetto, sinergia e sintonia proprio non ci sono.

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