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L’editoriale / Per cortesia, si eviti di venir meno al suo senso del privato

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Sull’onda dell’emotività ridondano le proposte: in città, intitolargli il futuro “Polo sportivo”, o una piazza, o una via; è in verità un discorso di domani, sapendosi che per norma, a Lugano, l’inserimento nella toponomastica ha luogo a distanza di almeno un decennio dalla dipartita della persona, e di sicuro qualcuno troverebbe un modo o un argomentino cui aggrapparsi per una deroga. Ma altro, e di più, dicono i segni dell’oggi circa il tangibile affetto verso Marco Borradori, deceduto mercoledì pomeriggio e le cui esequie saranno celebrate martedì mattina: sta infatti assumendo dimensioni epocali la testimonianza di un cordoglio senza filtri e che si manifesta, più che per tramite di migliaia di messaggi sui “network” sociali, con l’atto di presenza fisica, sia esso anche una semplice sosta a Palazzo civico (oggi l’apertura della camera ardente) o in via Monte Boglia sede della Lega dei Ticinesi, sia esso il deporre un mazzetto di fiori di campo davanti all’altarino improvvisato. Possiamo dirlo? Nel Ticino dell’ultimo quarto di secolo, tra i politici venuti a mancare in corso di mandato, l’eguale – ma in forme diverse – per il solo Giuseppe Buffi cui anche il Cielo riservò una lacrima nel giorno dei funerali in piena estate; e per fatti tragici occorsi qui o qui riverberatisi, impatto simile ebbero solo l’omicidio di Damiano Tamagni in via Borghese a Locarno e la strage del “Cafè Argana” in piazza Jamaa el-Fna a Marrakech, in Marocco, dove persero la vita Cristina “Kiki” Caccia, André Da Silva Costa e Corrado Mondada. Tra i personaggi amati potremmo semmai aggiungere, per la dimensione pubblica e sempre riferendoci all’evento drammatico inopinato, Gianclaudio “Clay” Regazzoni e Stephen Alois “Steve” Lee.

Nel momento in cui non si è più quel che si era, è uso il dire, chi sta all’intorno inizia a comprendere quanto importante per tutti fosse quell’esserci di “prima”. Per tutti: senza bisogno di beatificazioni o di santificazioni “prêt-à-porter”, Marco Borradori fu un sindaco non “di” tutti ma “per” tutti, antagonisti compresi. Se c’era da buscarsi una critica, qui il petto e qui la faccia; il che non voleva dire che non ci sarebbe stata replica, se del caso anche a palle incatenate per causare il massimo danno con un solo proietto; e quanti, quanti possono testimoniarlo in prima persona. Servirebbe però anche una manifestazione, non diciamo di coerenza, ma almeno di umiltà: sempre su “Facebook” è tutt’un florilegio di fotografie pubblicate, l’uno con stretta di mano a Marco Borradori, l’altro con un braccio attorno alle spalle di Marco Borradori, l’altro ancora seduto ad una tavolata con Marco Borradori, quasi che l’immagine debba attestare un’amicizia effettiva, una consuetudine profonda, un tempo – un lungo tempo – di financo ovvia condivisione delle esperienze. E si sprecano i “Ci davamo del “tu” da sempre”, i “Ci eravamo appena incontrati, i “Ci saremmo visti a settembre”, i “Mi aveva promesso una visita”, quasi che dall’attestazione episodica possa derivare un maggior grado di contiguità, quasi un miglior diritto di rivendicazione dei ricordi. Non saremo noi a togliere quest’illusione; a smentirla c’è giâ la realtà.

Marco Borradori, in ogni tempo della sua vita, diede in amicizia ed in confidenza esattamente quel che egli era disposto e voleva dare; perché aveva il senso della misura, e del privato, e del confine tra ciò che appartiene a sé e ciò che si può offrire – o riservare – al mondo. Nel contesto delle relazioni più strette, egli seppe per esempio tutelare con una cortina di silenzio il rapporto con la figlia Carlotta; di cui si sapeva, e non si domandava, anche se è probabilmente l’unica figura che un giorno potrà dirci degli aspetti emozionali di un uomo sempre pronto a vivere l’esistenza a 100 chilometri orari. Ecco, in questo Marco Borradori era magistrale: non incuteva timore, ma nella misura delle parole imponeva sempre la giusta distanza secondo la tipologia dell’argomento; non sviava un discorso, ma lo poneva su binari funzionali sì a portare il tema a destinazione, tuttavia senza sosta a stazioni che potessero comportare o una perdita di tempo o chiacchiere fini a sé stesse, e di sicuro evitando con cura quel che non gli fosse gradito. Non per solo talento retorico, no davvero.

Prima di ragionare su intitolazioni di vie o piazze o centri sportivi, si incominci a conoscere davvero chi fu Marco Borradori, fuori dalle logiche politiche, fuori dalle strategie, fuori dalle etichette. Non ci si meraviglierebbe se dalle carte, “ex post”, uscisse un diario o un memoriale; ma non ci si sorprenderebbe nemmeno se, pur non potendosi preconizzare in alcun modo il decesso, egli avesse pianificato il “dopo” lasciando una traccia delle volontà.