Home SPETTACOLI “Pardo d’oro” 2022, un regalo ai patetici profeti del nuovo conformismo

“Pardo d’oro” 2022, un regalo ai patetici profeti del nuovo conformismo

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Se non plaudi sempre ed incondizionatamente alla fluidità di genere, sei fuori. Se non plaudi alle esperienze sensoriale estreme e non sostieni pubblicamente che esse costituiscono un bisogno indefettibile, sei fuori. Se non affermi che solo dichiarandosi nella fluidità di genere e nel sempre più intenso ricorso ad esperienze estreme una persona trova la libertà e può affermare di essere libera, sei fuori. Se non stai concettualmente e culturalmente dalla parte di una che ama andare ogni volta oltre nella ricerca di dolore autoinflitto, sei fuori. E se non dici che è straordinariamente intelligente l’opera ultima della regista brasiliana Júlia Murat, meglio, se non dici che tale prodotto noto come “Regra 34” cioè “Regola 34” era degnissimo del “Pardo d’oro” 2022 effettivamente a tale lavoro attribuito oggi, sei più che mai fuori. È il nuovo conformismo, è il nuovo dogma, è la nuova pretesa di pensiero unico da cui si lasciano affascinare quei portatori di cervelli che, a furia di “reset” dopo ripetuti aggiornamenti del sistema secondo i desideri dei programmatori del “software”, smarriscono la capacità di un’analisi personale. In fondo, se la pubblicità dice che quella è la nuova frontiera della felicità (e non ci sono santi: la libertà è premessa non negoziabile dell’essere felici), perché non aderire, perché non essere consenzienti, perché non farsi anzi discepoli della dottrina augurando a sé stessi di diventare, prima o poi, veri ed autentici profeti?

Ebbene: avendo l’occasione di fissare un principio, e cioè l’indisponibilità della cultura ad inchinarsi davanti a ciò che per il 10 per cento è rivendicazione serena e per il 90 per cento resta atto modaiolo, i membri della giuria al “Festival” locarnese – riportiamo i nomi quali eventuali spunti per future riflessioni: Michel Merkt, produttore; William Horberg, produttore; Prano Bailey-Bond, cineasta; Alain Guiraudie, regista; Laura Samani, regista – hanno scelto di rendere un pessimo servizio a sé stessi, all’evento che nella sostanza rappresentano, alla Locarno cinematografica in cerca di una nuova centralità nel sistema e, per buona misura, anche alla Svizzera della politica. Ché “Regola 34” – oh, giusto, spieghiamo anche ‘sto titolo da “nerd” passati di cottura: sussiste una tesi secondo cui, se una cosa compare su InterNet, di essa esiste anche la versione pornografica. Una diceria ridicola – è intriso di politica militante, e quindi in Jair Messias Bolsonaro presidente del Brasile sta il nemico da abbattersi e la sentina di ogni vizio ed il repressore più feroce almeno dai tempi di Nuno “Cardeal” da Cunha e Ataide noto quale “Inquisidor geral” e la causa di ogni nequizia; vero è anche il fatto che da quelle parti i santi non abbondano, e magari Júlia Murat, quando prolude concionando sulla morte della democrazia in Brasile, potrebbe anche far memoria di una tra le cause determinanti nell’ascesa di Jair Messias Bolsonaro al potere, ossia il mutare del “sentiment” popolare durante il periodo in cui il Paese rimase nelle mani dei vari Luiz Inácio “Lula” da Silva, Dilma Rousseff e Michel Temer Lulia. Riflessione dalla quale la regista si tiene ben lontana, preferendo i “flash” da illusioni distopiche che le vengono da mamma Lucía, anch’ella votatasi alla celluloide o a quel che ora sia ma con minor fortuna, a partire dal 1968 militante in un movimento marxista-leninista e nel 1971 arrestata e condannata; era il “regime dei Gorillas”, sotto il quale morirono o furono fatti sparire oltre 400 tra dissidenti e soggetti sgraditi ai vertici militari. E, per quanto Jair Messias Bolsonaro resti criticabile, magari una differenza tra lui ed un Emilio Médici c’è ancora.

Quanto alla cifra di scrittura per immagini, ciascuno ama la sua e quella di pochi altri e pertanto si è portati a non uscire dal limbo del “Non giudicare”; se in Júlia Murat fosse riconoscibile una novella Oliver Stone, ad ogni modo, ne riferiremmo, e così non è; detto per inciso, diffidare sempre quando chi sta dietro alla macchina da presa pretende anche di coordinare la sceneggiatura ed il montaggio. Quanto al personaggio su cui “Regra 34” si impernia, ooh maaadreeee, da quanta sfolgorante e mirabolante creatività promana l’invenzione della figura della giovine Simone che durante il giorno entra in aula universitaria con il sogno di diventare giurista e di votarsi alla lodevolissima causa della difesa delle donne vittime di violenza (argomento, sia detto, troppo serio perché lo si usi come pretestuccio anche in uno solo dei 100 minuti di questo pateracchio filmico) ed invece, al calar delle tenebre, si converte in “camgirl” pronta e disposta a farsi pagare per l’offerta di un quarto d’ora di sesso a distanza e con monotono corredo di gridolini e di sussurri (tra l’altro: la vera colonna sonora è assai buona, quanto alla recitazione della protagonista vi chiediamo in ginocchio di restituirci la Sonia Braga delle “telenovelas” tipo “Dancin’ days”). Beate Köstlin poi diventata celebre come Beate Uhse, pioniera dell’aviazione in versione “lei” ed inventrice dei “sex shop”, davanti a simile canovaccio si sarebbe messa a sghignazzare, ma di gusto.