(ULTIMO AGGIORNAMENTO E RIEPILOGO, ORE 18.40) “Già bello che non ci è scappato il morto”, commenta un passante. Già bello che, sì; non c’è infatti stata tragedia, ma solo per fortuità. Non può essere, ma è stato così: è cioè successo che ragazzini sfaccendati ed allo stato brado abbiano sottratto armi della Polcantonale ticinese e con esse siano andati in giro – àmbito ristretto, d’accordo, ma in giro – esplodendo colpi; ed è successo che almeno due proiettili si siano infissi in un muro o contro di esso si siano schiacciati. Caso di quella casualità che si benedice se non parliamo ora di sangue sparso, tra gli adolescenti stessi e/o tra le forze dell’ordine. Caso, sostantivo di quattro lettere coincidente per lunghezza, per iniziale e per finale e per numero di sillabe con altra espressione, più popolare certo ma non priva di valenza nel quotidiano.
Ascoltare bene, inquadrare e crederci: è pura e mera cronaca, nulla si toglie e nulla s’aggiunge, benché. Pomeriggio di ieri, mercoledì 19 aprile, territorio comunale di Paradiso, contesto una struttura alberghiera non operativa cioè in disuso ovvero abbandonata, muri prossimi alla riva del Ceresio: qui si ritrova un numero imprecisato di agenti della Polcantonale, normale revisione dell’addestramento, ordinaria esercitazione insomma. Ma le forze dell’ordine non sono sole: in una nota-stampa anodina e pasticciatissima e priva di referente sta scritto che il manipolo di ragazzini – facciam conto che fossero una diecina – faccia irruzione scivolando all’interno dell’edificio da una porta-finestra. Azione condotta “abusivamente”, sottolinea l’autore del comunicato, ed è una ridondanza che fa specie; com’è come non è, pare che nessuno si accorga di tali presenze. Peggio: nessuno si rende conto del fatto che alcuni tra gli adolescenti – si scoprirà poi che hanno tutti fra i 13 ed i 15 anni – si muovono ed arrivano laddove sono state lasciate le armi. “Depositate in una zona di sicurezza limitata”, sempre secondo l’informativa, dal che non si comprende in verità se l’aggettivo sia inteso con riferimento alla zona o alla sicurezza; ai fatti, sicurezza non vi è, tanto che alcuni ragazzini entrano, frugano, individuano gli oggetti del desiderio e si impossessano di due pistole di ordinanza. Pistole – anche su questo si impone un punto interrogativo: possibile, in condizioni di allocazione senza apparente presidio? – che sono cariche, ed infatti due degli invasori mettono i rispettivi palmi della man destra sulle guancette del fusto, brandeggiano le armi, trovano modo di rimuovere la sicura (sempre che ci fosse, a questo punto) e fanno bang-bang. Non a voce: sparando sul serio.
Si immagina la scena, si immagina la sorpresa, si immagina tutto quel che volete. Non si immagina, perché dalla ricostruzione questo emerge, che i due e gli altri tentino a quel punto di filarsela alla rapida, e che all’interno dell’edificio lo scarnazzo – prendiamo a prestito da Andrea Camilleri – si sommi allo scarnazzo; sparatori e combriccola sanno di averla fatta grossa e se la svignano, salvo essere intercettati e fermati a breve distanza. “Sul posto” ed “immediatamente”, anzi, a rigore di comunicato, ma al momento i centimetri ed i minuti costituiscono tema marginalissimo rispetto alla gravità della questione; così rapida l’azione non sarà invero stata, dacché gli autori della bravata – così classifichiamo all’impronta, confidando in una lettura più congrua da parte del magistrato dei minorenni – hanno tempo sufficiente per “disfarsi delle armi” (testuale) gettando entrambe le pistole in acqua, e nemmen questo è cosa così semplice, nella concitazione del momento. Al fermo seguono recupero delle pistole, constatazioni dell’assenza di feriti o contusi ed interrogatorio dei reprobi, che non stanno soltanto nel gruppo degli adolescenti incoscienti ed affetti da manifesta inconsistenza logica; sui coordinatori dell’esercitazione grava ora l’accertamento di carattere amministrativo circa il rispetto delle norme di sicurezza, perché un responsabile ci sarà pur stato, per quell’evento ed in quel luogo.