Home SPETTACOLI “Festival del film”, vince un capolavoro. Con Capo(verde) e coda

“Festival del film”, vince un capolavoro. Con Capo(verde) e coda

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Verdetto secondo pronostico, e per una volta esiste anche la possibilità che questi 124 minuti trovino adeguato spazio nei circuiti “mainstream” perché alla tristezza di quel che è di solito spacciato come realtà viene qui opposta una pellicola urlante dolore come solo si può leggere in cronaca, alla 72.a edizione del “Festival del film” di Locarno, mai come quest’anno degno di recuperare – prendano nota i capintesta – l’aggettivo “internazionale” nel nome: il “Pardo d’oro” va infatti a “Vitalina Varela”, regìa del lusitano Pedro Costa, versione originale oscillante tra creolo capoverdiano e lingua portoghese, ed alla protagonista – che è per l’appunto Vitalina Varela – sarà consegnato stasera anche il premio per la miglior interpretazione. Diremo: un affresco che, nella totale drammaticità, trasuda speranza incrollabile; e si credette sulla parola ed all’istante, giorni addietro, proprio ad Americo Fernandes locarnese d’ascendenza capoverdiana, ad Americo Fernandes che a due passi da piazza Grande insegna a boxare avendo vissuto un’esistenza in cui i pugni più pesanti gli giunsero dal buio anziché dal “ring”, quand’egli diede ad intendere che un film come questo non può non entrare nel cuore. “Vitalina Varela” lo fa, punto. Vitalina Varela, qui in immagine con Americo Fernandes, e chissà che cosa si sono potuti raccontare, in questi giorni.

Sul resto, pur nella rivendicata e rivendicabile internazionalità (vedasi la distribuzione dei riconoscimenti ai quattro angoli del mondo), diremo che poco ha entusiasmato e che pochissimo resta nella memoria. Più “wannabe” che cinema destinato a lasciare un’impronta, per quanto poi siano i fiori a spuntare dal cemento e quindi si prenda un ragionevole premio – oltre al “Fipresci” – come miglior attore quel Regis Myrupu visto in “A febre-La febbre” della brasiliana Maya Da-Rin, 40enne in esordio dietro alla macchina da presa, formazione da Rio de Janeiro all’Avana a Parigi, abile nel giocare sui dualismi e sul richiamo alle radici (che, del resto, per lei stessa contano qualcosa) con tempi sospesi e diluizioni del momento-macchina in inquadrature in cui il lento fa spazio allo statico, e viceversa; almeno un “ex aequo” sarebbe allora stato da attribuirsi per la regìa proprio a Maya Da-Rin ed al francese Damien Manivel, impostosi invece quest’ultimo con “Les enfants d’Isadora-Isadora’s children”, sì, beh, boh, accade a volte che la poetica reciti sé medesima e ridondi sino allo stucchevole, servirebbe una seconda visione ma alla prima si ricavò proprio questo effetto, l’“art pour l’art” non è proprio cosa inventata iersera ed ecco che, non volendosi sbriciolare il senso della scelta compiuta, in testa si insinua la percezione dell’essere questo prodotto giunto tardivamente, diciamo d’un cinque o 10 o forse 20 anni o meglio ancora d’una generazione, ed insomma è roba vecchia senza rientrare nel “déja-vu”. Idem dicasi, peraltro, circa il sudcoreano “Pa-go” su cui si è indirizzata la giuria per il premio speciale. A “Maternal” – sugli scudi anche per la giuria ecumenica – ed a “The science of fiction” le menzioni speciali, e facciamo che siano menzioni e amen.

A margine, ma in un’edizione ricca di marginalità potrebb’anch’essere che qualcosa trovi attenzione in altre sedi: “Baamum Nafi”, successo come miglior opera prima ed anche nel concorso “Cineasti del presente”; ad “Instinct” il “Premio Variety” beneaugurante per la conquista dei mercati; a “Bergmal” il plauso della giuria dei giovani; dal pubblico, quello delle serate con gli occhi puntati verso il cielo e delle borsette esibite e dei “pass” al collo per l’accesso sempiterno a piazza Grande, consenso per “Camille”. Per gli altri giudizi, primo fra tutti sulla direzione artistica, meglio che si aspetti.