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Federali 2019 / Plr da comitato di crisi, Giovanni Merlini molla tutto

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Ragazzi, via, non prendetela così, verrebbe da dire: sono elezioni, non una tragedia, la storia non si esaurisce al pomeriggio di una domenica 17 novembre 2019. Ed invece rintoccano a morto, metaforicamente parlandosi, le campane di Bellinzona quartiere Camorino, e con identico tono rispondono quelle di Monteceneri frazione Rivera, in un caso dal quartier generale dei liberal-radicali, dall’altro in quello dei pipidini. Una Beresina di tal misura, in effetti, nessuno si aspettava: le prove generali della laica alleanza avevano dato esito utile – per un pelo, ma in quel momento vigeva il “Chissenefrega” – sul turno del Nazionale, due più due seggi da tutelarsi e due più due seggi salvati; per gli Stati, Filippo Lombardi aveva pur dalla sua il “bonus” culturale di cinque legislature all’attivo ed il primato netto al turno di qualificazione, quando nove erano i concorrenti e sei soli erano riusciti a superare il “taglio” ed altri due – cioè Battista Ghiggia leghista e Greta Gysin verdista – si erano poi chiamati fuori, l’uno per irritazione e l’altra per raggiunto scopo; e Giovanni Merlini, benché poco gratificato nel consenso alle urne, era pur sempre in transito dal Consiglio nazionale e pronto a raccogliere quel che Fabio Abate aveva messo a disposizione. Ed invece, ecco.

L’“invece”, quand’ancora non è calata l’oscurità sul Ticino dal cielo tra il grigio ed il plumbeo persino in massima ora diurna, è al contempo apodittico ed apocalittico. Notizie alla rinfusa una volta che siano state cristallizzate le cifre a 105’671 schede valide di cui 100’543 (93.54 per cento) giunte per corrispondenza e che a codifica consta una partecipazione nella misura del 47.16 per cento, un nulla in meno rispetto al turno precedente (49.10 per cento): Filippo Lombardi, e lo si scrisse su altro versante, non intende chiedere un riconteggio pur in presenza di 768 schede nulle (0.71 per cento sul totale) e di 1’044 schede bianche (0.97 per cento sul totale); resta aperta la via del ricorso se anche un singolo “legittimato” giudicherà essere ciò utile o necessario; Giovanni Merlini, fermatosi al 31.49 per cento (Filippo Lombardi, 34.47; Marina Carobbio-Guscetti, 34.51; Marco Chiesa, 40.27), in dimissioni dall’universo e cioè – si prende quel che vien detto; c’è sempre un’occasione per ripensarci – da qualunque attività politica, sino ad oggi ci sono stato e da adesso non ci sono più, saluti e baci e se vi va passate un giorno da Minusio dove vi offrirò un bicchiere, ma nulla di più.

Non solo questo, anzi: con quella che è forse la prima mossa sensata negli ambienti Plrt da giugno ad oggi, irrompe sulla scena l’invocazione di un vero e proprio commissariamento dei vertici del partito da parte del granconsigliere Matteo Quadranti, che già nel corridoio dei passi perduti a Palazzo delle Orsoline non aveva mancato di far capire ai cronisti quale e quanto fosse il suo dissenso dal concetto stesso di alleanza con il Ppd: a parere del deputato ed avvocato balernitano, d’obbligo le dimissioni immediate dei “membri dell’Ufficio presidenziale Plrt”, e questo con dichiarazione a nome dell’intera frazione radicale, mica brombole; la dirigenza, credendo “di poter ignorare l’opinione della base”, avrebbe infatti “sacrificato in modo spregiudicato una personalità politica dal notevole spessore qual è Giovanni Merlini”, e questo “sull’altare di speculazioni, improvvisazioni ed alleanze poco approfondite”. Oh, caspita: ma allora quell’accordo non godeva della popolarità ufficialmente accreditata..

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