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Covid-19, Lombardia blindata. Sui frontalieri un’irritante “pochade”

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(ULTIMO AGGIORNAMENTO E RIEPILOGO, ORE 3.48) Provvedimento epocale e draconiano – la blindatura dell’intera Lombardia, nessuno esce e nessuno entra fatte salve comprovate e inderogabili esigenze, a causa dei rischi da diffusione del “Coronavirus” – quello annunciato intorno alle ore 2.20 di oggi, domenica 8 marzo, con decreto in firma di Giuseppe Conte (nella foto), presidente del Consiglio della Repubblica italiana. Il testo, anticipato in forma di bozza da un quotidiano (secondo Giuseppe Conte, un “infortunio inaccettabile”; resta il sospetto sull’intenzionalità dell’atto da parte di qualcuno che sui contenuti dell’intervento non era propriamente concorde), è ancora da limarsi e dunque farà fede – “Troverete qualche differenza rispetto alla bozza” – una nuova versione; non chiaro quanto essa risponderà alle obiezioni poste, ad esempio ed in rappresentanza di territori governati con maggioranze di segno politico opposto, da Attilio Fontana presidente della Regione Lombardia e da Stefano Bonaccini suo omologo per la Regione Emilia-Romagna. Insieme con la Lombardia, infatti, in “zona rossa” (espressione che Giuseppe Conte pretende non sia usata; parlano tuttavia i fatti) entrano 14 realtà provinciali – erano 11 nella bozza – di cui tre venete (Venezia, Treviso e Padova), una marchigiana (Pesaro-Urbino), cinque emiliano-romagnole (Piacenza, Parma, Reggio nell’Emilia, Modena e Rimini) e cinque piemontesi. Qui la modifica sostanziale: ad Alessandria ed Asti sono state aggiunte Vercelli, Novara e Verbano-Cusio-Ossola.

Nel giro di vite figurano l’estensione della chiusura degli istituti scolastici università comprese (sino a venerdì 3 aprile. Tale ipotesi era già circolata giorni addietro, ma fonti dell’Esecutivo l’avevano bollata con la trita classificazione tra le “fake news”) e la chiusura forzosa di discoteche, scuole di ballo, sale giochi ed altri luoghi di incontro; niente cerimonie civili, niente cerimonie religiose, esequie in forma di mero congedo. Per quanto riguarda gli spostamenti, e qui l’incertezza prende corpo, ammesse solo “indifferibili esigenze lavorative o emergenze”. Da verificarsi se tale espressione o tale intento comparirà anche nel documento definitivo sulla “Gazzetta ufficiale”, nel qual caso avrà trovato una ragione la “pochade” andata in scena sùbito dopo l’uscita della bozza di decreto: colonna sonora dominata da note isteriche, a centinaia le persone riversatesi nelle stazioni ferroviarie con l’intento di abbandonare la Lombardia, ingolfati dalle chiamate i centralini dei servizi di assistenza sul tema del “Coronavirus” e degli enti preposti alla tutela della sicurezza, disdette di soggiorni nelle località turistiche da parte di quanti, dopo essere giunti sul posto, hanno temuto di non poter rientrare al domicilio per settimane e settimane. La “chiusura” è in sostanza ancorata a criteri sino ad ora applicati, su suolo italiano, solo a Vo’ Euganeo (provincia di Padova) e nell’area di 10 Comuni contigui (Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia e Terranova dei Passerini) nel Lodigiano, località dei primi focolai ossia laddove proprio oggi, domenica 8 marzo, va a scadere la quarantena imposta per due settimane.

Resta, al momento, il mistero sulla sorte dei frontalieri che lunedì dovrebbero rientrare in Ticino dalla Lombardia: poche ore prima della conferenza-stampa notturna di Giuseppe Conte, possibilista si era dichiarato Giulio Gallera, assessore regionale lombardo, ad avviso del quale i lavoratori avrebbero avuto facoltà di raggiungere le sedi operative e di tornare, unico obbligo l’immediato rientro (con permanenza) a casa; di ben diverso avviso appare il portavoce dell’Esecutivo, che intende imporre controlli serrati da parte delle “forze di sicurezza” (testuale) al fine di evitare ogni abuso. L’applicazione letterale del concetto “Nessuno entra, nessuno esce, si passa solo per emergenze o per indifferibili esigenze lavorative” porterebbe infatti ad escludere qualunque transito ai valichi, presenziati o impresenziati, dalle province di Varese, Como e Sondrio; in più, con il “ritocco” dell’ultim’ora, fuori gioco è anche il Verbano-Cusio-Ossola. Linea completa quale cordone sanitario sui confini del Ticino, messaggio compreso e comprensibile; isolamento su tutto il fronte, idem; ma quei 69’000 frontalieri, al momento, rimangono merce non ritirata, e non per responsabilità elvetica. Da valutarsi poi la risposta di Berna e di Bellinzona: in caso di deroga per i frontalieri da parte italiana, nessuna obiezione o serrata per ragioni di salute pubblica?

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