Non basta né basterà, nella problematica ma non catastrofica odierna situazione di profilassi anti-“Coronavirus”, quel che era dato sui picchi della pandemia covidiana, a mo’ di esempio con la limitazione a quattro familiari per tavolo di ristorante e magari con una firma per il tracciamento oltre all’uso della mascherina durante gli spostamenti all’interno del locale. In assenza di una capacità decisionale autonoma, una volta ancora Alain Berset direttore del Dipartimento federale interno è riuscito a strappare alla maggioranza dei suoi colleghi un “sì” sull’introduzione di provvedimenti draconiani nella quotidianità di quanti vivono in Svizzera: chi non disponga del “certificato Covid-19”, da lunedì 13 settembre, non avrà accesso all’interno dei ristoranti, dei musei e delle strutture con funzioni culturali, degli edifici in cui siano svolte attività per il tempo libero, ed ancora di qualunque ambiente in cui sia prevista una manifestazione che rimane al chiuso. Tutto ciò, vien detto, “per far fronte alla difficile situazione negli ospedali, (situazione) che non accenna a migliorare”. Il che suona anche come sconfessione della validità e dell’importanza della campagna vaccinale, come se si fosse di nuovo ai piedi della scala; di fronte alla “variante delta” del “Coronavirus”, e sulla scia della catena di informazioni che raramente si sono rivelate vere al 100 per cento, quello di Alain Berset è quasi un ricorso all’ovvietà del “Non l’avevamo previsto”. Come in ogni altro caso dal febbraio 2020 – quando, lo si ricorda, ai ticinesi veniva persino raccomandato di andare a trovare gli amici a Milano, ché nemmeno si doveva parlare di possibili problemi – all’altr’ieri.
Copincollismo. Per lavarsi la coscienza? – Il provvedimento, calato a forza sulla testa dei cittadini svizzeri e di quanti sono qui domiciliati, mette già in apprensione ogni operatore del terziario dall’albergheria all’industria dello svago, essendo posto il limite minimo di validità a lunedì 24 gennaio 2022 (unico strapuntino concesso: “Abbiamo la facoltà di revocare anzitempo questo provvedimento, qualora negli ospedali la situazione dovesse migliorare”. Chi è disposto a crederci?) e dunque investendo una fetta – quella più redditizia – della stagione turistica autunnale-invernale. Che potrebbe anche morire per “harakiri” fra una diecina di giorni, essendo state contestualmente poste in “consultazione” (sì, ma con quel tipo di consultazione in cui ad ogni modo sarà Berna a decidere senza rispetto per alcun “Sonderfall”) altre due ipotesi degne di sola perplessità: una, sull’entrata in Svizzera di persone non vaccinate o non guarite; l’altra, sull’accessibilità del “certificato Covid-19” versione elvetica alle persone vaccinate all’estero (vedasi, a questo proposito, in altra parte del giornale). Secondo la versione adottata nella Berna governativa, “la situazione negli ospedali resta tesa” e nei reparti di terapia intensiva sarebbe prossimo il raggiungimento delle quote-limite; anzi, “in alcuni Cantoni vengono rinviati gli interventi, ed in diversi casi è accaduto che pazienti siano stati trasferiti in altre strutture nosocomiali”. Discorso che sarebbe stato accettabile or è un anno e mezzo, non oggi stante proprio l’esperienza maturata nel corso delle fasi acute della pandemia; a fronte di un’esigenza “ics” per quantità, si è capito che serve sempre una disponibilità di risposta pari ad almeno “ics più uno”, e che tale disponibilità, per quanto suscettibile di rimodulazione durante i periodi di attività meno intensa, non è alienabile.
Scaricabarile inverecondo – Non avendo ascoltato quel che la cronaca ha imposto con massiccia evidenza, a Berna replicano invece con stereotipi: “Permane alto il numero dei contagi”, “Negli ultimi giorni sono stati intravisti segni di una diffusione del virus con caratteristiche di lieve maggior rapidità”, ed ancora “In autunno si abbassano le temperature e dunque non è da escludersi un rapido aumento dei ricoveri, con conseguente sovraccarico degli ospedali”. Di chi la colpa? Dei previsori che non prevedono, dei politici che non impongono una linea di protezione e di cura sanitaria “whatever it takes”? No, la colpa è dei cittadini: “La quota percentuale della popolazione non immunizzata è ancora troppo alta” dal che discenderebbe l’impossibilità di “prevenire una nuova ondata di contagi”, perché del resto, “anche se l’interesse è lievemente aumentato, il ritmo di vaccinazione resta basso” (altrimenti scritto: la campagna vaccinale va a rilento, siamo lontanissimi dagli obiettivi da noi stessi fissati con sicumera e sovrabbondanza di presunzione e non sappiamo più dove andare a rimediare qualche punto percentuale). Segue tra l’altro, nella nota-stampa diffusa, un chiletto di propaganda a buon mercato con frasi di circostanza tipo “Il vaccino offre una buona protezione sia contro l’infezione sia contro un decorso grave della malattia”, e “Chi è vaccinato trasmette molto meno il virus ad altri”. Messaggi mai sentiti, davvero.