Home CRONACA A margine / “Molinari”: fine di un’esperienza, non fine della storia

A margine / “Molinari”: fine di un’esperienza, non fine della storia

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Tornati nella zona del loro storico accampamento, i “molinari” di Lugano scoprirono la notte scorsa che dell’accampamento medesimo erano rimaste soltanto rovine; ed è di sicuro un contraccolpo pesante, per qualcuno esiziale. Più che per gli stabili in sé (chi voglia produrre cultura può farlo anche su un palco improvvisato e senza muri all’intorno), per la storia generatasi all’interno dell’ex-“Macello”: i giovani di un tempo o sono andati via o sono ormai nella mezza età, tra i nuovi non tutti hanno chiara conoscenza delle radici di un’esperienza che qualcuno vorrebbe ricondurre addirittura alla celebre occupazione dell’aula 20 della “Magistrale” di Locarno nel 1968 (e no, tale pretesa connessione sconfina nella mitomania), ma che in ogni caso poggia su fatti e persone dell’ultimo quarto di secolo almeno, non dovendosi né potendosi dimenticare quali e quante relazioni di interesse e di prossimità i “molinari” abbiano intessuto con ampi strati della politica luganese e cantonale, a tratti garantendosi la connivenza di vertici politici o di figure qualificate. Assai minore, per contro, il consenso raccolto tra i cittadini, restando l’ex-“Macello” (per meglio dire, il “contenuto” di ciò che all’ex-“Macello” veniva generato o accolto) sostanzialmente un corpo estraneo sia all’identità luganese sia ai suoi flussi; se è per quello, tuttavia, nemmeno la “Rote Fabrik” riuscì mai a garantirsi apprezzamento unanime fra gli zurighesi, e già si sta parlando di una dimensione del fenomeno e di un contesto affatto diversi rispetto a quelli riscontrabili in riva al Ceresio.

Perché, allora, la caduta del fortino all’ex-“Macello” viene avvertita come una cesura non sanabile, quasi che da ora in poi quanto avvenuto la notte scorsa sia da considerarsi come spartiacque? Per due ordini di ragioni almeno: primo, perché quanto a logistica nulla vi è di meglio; secondo, perché un fatto reale – l’intervento delle ruspe, lavoretto da due ore scarse – fu bastevole per fare piazza pulita di tutti i proclami con cui Tizio cercava di convincere Caio e Caio spingeva Sempronio ad autosuggestionarsi circa una presunta “invincibilità” del progetto, quale che esso fosse, e del suo irrinunciabile ancoraggio a quel luogo, che era nelle mire dei cosiddetti “antagonisti” – ciò sappiamo da ricostruzioni spontaneamente fornite – sin dai primi tempi delle occupazioni selvagge, e dunque quando ancora non si profilava l’ipotesi del contratto con la Città di Lugano per l’utilizzo dell’area di viale Cassarate 8. Come si ricorderà, le esperienze dell’autogestione si erano concretizzate in prima battuta – scarto di pochi giorni – non a Lugano ma a Bellinzona, zona di via Giovanni Jauch e dunque proprio a due passi da Palazzo delle Orsoline, “domenica 6 ottobre 1996” la data sul calendario; occupata “Casa Cinzia”, immobile con qualche oggettivo problema di solidità, la cifra del confronto è a toni asperrimi, vero e proprio dialogo non vi sarà mai e sabato 1.o marzo 1997, cioè meno di cinque mesi dopo l’irruzione, gli occupanti verranno estromessi con un “Blitz” di oltre 50 agenti e nel cui contesto saranno sequestrate armi e droga. Ma questo è discorso del “poi” e tema destinato alla marginalità nel quadro generale, essendosi gli occhi di tutto il Cantone ormai fissati su quanto in corso intorno a Lugano: sabato 12 ottobre 1996, al termine di una manifestazione pubblica con corteo (curiosa analogia con quanto avvenuto ieri all’ex-“Istituto Antonia Vanoni”), ebbe luogo la presa proditoria di possesso degli stabili agli ex-“Molini Bernasconi” – da qui la definizione “molinari” – di via Molinazzo 2 a Viganello, in quel tempo ancora Comune autonomo di Viganello.

Nell’area, che nel frattempo era stata acquisita dai titolari della “Electrowatt Ag” (poi confluita nel gruppo “Siemens”), gli alfieri dell’autogestione riuscirono in realtà a rimanere per pochi mesi: lo sgombero era stato intimato per le ore 24.00 di lunedì 30 giugno 1997 al più tardi, ma già intorno alle ore 2.00 di sabato 7 giugno 1997 scoppiò un incendio da cui vennero gravemente danneggiati quattro piani dello stabile; insieme con le fiamme, divamparono anche le polemiche sul presunto dolo e sul presunto ritardo nelle operazioni di soccorso. Dopo aver espresso l’intenzione di non muoversi dagli ex-“Molini Bernasconi” e di voler riutilizzare altri spazi edificati nella medesima area, da Viganello i promotori dell’autogestione si traslarono invece all’ex-“Grotto del maglio” (meglio noto come “ex-Maglio”) di Canobbio, essendo nel frattempo intercorse trattative frenetiche cui presero parte delegati di una decina di Comuni e del Cantone. Concessione provvisoria, l’ex-“Maglio”; scaduti i termini, nessuno si mosse e dalla concessione si passò dunque all’occupazione, per oltre cinque anni fra pretese ed intimazioni; dalle autorità comunali, alle prese con una situazione a poco a poco divenuta ingestibile, partì l’“aut-aut” (“O agite, o ci dimettiamo”) all’indirizzo del Dipartimento cantonale istituzioni alla cui guida si trovava il pipidino Luigi Pedrazzini, sicché un’ora prima dell’alba di venerdì 18 ottobre 2002 entrarono in azione circa 70 poliziotti ed il sedime fu liberato da cose e persone, 87 in tutto i soggetti che vennero identificati. Esattamente due mesi dopo, ossia mercoledì 18 dicembre, e dopo trattative risoltesi con il canonico taglio del nodo gordiano da parte delle autorità cittadine luganesi, la consegna delle chiavi dell’ex-“Macello”, l’inizio della nuova fase dell’autogestione e, per quanto “ex post” ciò possa sembrare irrealistico, una permanenza di lungo periodo.

Con vari limiti, certo: l’incapacità di andare oltre i limiti propri, il linguaggio inadeguato alle situazioni, l’assenza di reale gemmazione sul territorio (risibile e dalla brevissima durata fu l’occupazione di un altro edificio, a Massagno), e soprattutto una sostanziale carenza strategica essendo stata scarsa se non nulla l’attitudine ad acquisire referenzialità. Difetti che, in ultimo, hanno condotto ad un errore nell’analisi della situazione; o, come suggeriscono alcuni meccanismi, alla preponderanza decisionale da parte della “new wave” sulla vecchia guardia. Nel gruppo dei “molinari” sarebbe insomma maturata – ma si può anche passare dal condizionale all’indicativo – una spaccatura tale da condizionare le scelte e da indirizzarle su binari frontisti; se così è, pessima pensata.