Due situazioni distinte, e lo possiamo leggere in cronaca, anche oggi in materia di diffusione del “Coronavirus” all’interno di strutture sociosanitarie del Cantone, di fatto una tra le aree più sensibili ed attaccabili dalla pandemia come purtroppo ci insegnò la prima ondata covidiana. Ed abbiamo anche appreso che il problema, in realtà, era emerso già sabato scorso, stante il contagio subito da un ospite: notizia non giunta alla stampa da fonte ufficiale, nel caso di specie da ambienti del Dipartimento cantonale sanità-socialità. Per quale motivo? Perché, ad avviso di tale autorità o di chi malissimo la consiglia, “Informazioni sulle strutture sociosanitarie” in cui siano riscontrati casi positivi al “Coronavirus” vengono “fornite pubblicamente solo quando si riscontra un focolaio fra gli ospiti”, e ciò sulla scorta del fatto che i provvedimenti “attuati localmente implicano restrizioni più importanti per i residenti e per i loro familiari”.
In altre parole, sulla scorta di non si sa quale logica dal momento che siamo alle prese con una pandemia e non – per dire – con qualche caso di varicella, le singole manifestazioni di contagio non costituirebbero motivo sufficiente per una comunicazione all’esterno: tesi autogiustificatoria, questa, che fa a cazzotti con la trasparenza verso l’esterno “in genere” e con l’esercizio del diritto di cronaca. Prassi non condivisibile, e peraltro i fatti dicono che essa non serve a nulla: dove c’era una persona contagiata eccone altre tre, ergo focolaio, ergo problema esploso e non sottacibile. Strana abitudine, vero, hanno i fatti quando si decidono ad emergere?