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Abiti e gioielli in avantindré fra Italia e Ticino, la furbata è servita. E stroncata

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L’avessero fatto una volta o tre, o magari anche cinque ma nel volgere di anni, e/o magari con la schermatura di più persone, forse il loro trucco sarebbe anche sfuggito ai “radar”; non così se, come è nel caso, uno dei due tizi faceva avantindré e l’altro anche, con un meccanismo che il profano crederebbe ispirato al maestro Nariyoshi ovvero Keisuke ovvero Hideo Miyagi in “Karate kid”, stile “Metti la cera togli la cera”, in apparenza una perdita di tempo ed uno spreco di energie. In effetti, perché comperare beni di lusso in Italia, portarli in Svizzera e poi riconsegnarli in Italia? Beh, perché il primo tizio risulta residente in Ticino e l’altro in landa di Tricoloria, e perché nel corso delle operazioni veniva saltato un passaggio tecnico. E quale? Nulla di che: recupero dell’Imposta sul valore aggiunto, per mano del primo soggetto, all’ingresso su suolo elvetico o addirittura in partenza dal luogo di acquisto, per facoltà data dal sistema “tax free” quando si tratti di esportazione definitiva di un bene; all’uscita dei medesimi articoli verso l’Italia, e qui per mano del secondo soggetto, niente versamento dell’Iva a reintegro del prezzo effettivo, cioè trasferimento delle merci senza che esse venissero dichiarate in frontiera. Ma sicuro, o ignoranza delle norme o mera sbadataggine; solo all’“Agenzia dogane-monopoli” di Como – sezione territoriale a Ponte Chiasso – potrebbero pensare al dolo, no?

Beh, no. No, perché il meccanismo sfociava nella rivendita delle merci a prezzo ribassato, in Italia; no, perché tra articoli di pelletteria, accessori, gioielli e capi di abbigliamento erano stati trattati prodotti per un controvalore di oltre 56’500 euro, circa 61’500 franchi, con evasione massiccia del dovuto, nel periodo compreso fra l’agosto 2019 ed il febbraio 2020. Calcolate voi la media mensile, e capirete anche per quale motivo gli inquirenti – tra l’altro, con fattivo apporto dei funzionari dell’Amministrazione federale dogane – sono giunti ad alcune conclusioni, giungendo in ultimo a contestare gli addebiti. Per i quali l’individuo in funzione di riesportatore, cioè il cittadino italiano che entrava in Ticino per recuperare la merce e per riportarla in Italia e per ridestinarla alla vendita, avrebbe ammesso tutto. Ad attestarlo, alcun evidenze: diritti dovuti, ossia 15’686 euro circa, già pagati; piccolo supplemento sui medesimi diritti dovuti, già pagato; sanzione amministrativa da 10’458 euro circa, già pagata. Discorso chiuso solo nelle scorse ore, e con un invito: evitate, perché è un numero da palcoscenico vecchio, e per di più non farete mai i soldi “veri”…