Visto e constatato: in Ticino ci sono ristoratori che, nel periodo post-“lockdown”, a pari tipologia di prodotto e di servizio hanno alzato i prezzi; e, sempre in Ticino ed in pari guisa, ci sono albergatori che hanno rialzato il listino, quattro-cinque per cento come “standard”, in qualche caso il 10. Visto e constatato: in Ticino c’è anche qualche organizzatore di aree per “camper” con pretese esose rispetto all’offerta. Malissimo: nel tempo in cui bisogna recuperare attrattività e costruire credibilità, la logica si sarebbe semmai dovuta situare all’opposto, margine di guadagno magari eroso ma basi piene. Vi diremo: cose persino peggiori, ed i turisti svizzeri di ciò si stanno accorgendo, accadono all’esterno della landa cantonale. Un esempio? Albergheria in Riviera adriatica, visti rincari da 15-20 per cento; spiagge sullo stesso litorale, idem. E, sempre in misura tangibile: area di servizio nel Norditalia, lungo la A1, punto di ristoro, mezzo sfilatino con tre fette di prosciutto crudo, prezzo 7.30 euro. Sette euro e 30, al cambio ordinario, fanno sette franchi e 80. Prezzi svizzeri di fascia alta in un Paese dagli stipendi ad un terzo di quelli svizzeri: difficile che un italiano abbocchi, ma nel trattare a pesci in faccia il turista “da fuori” c’è sempre chi riesce a dare il peggio di sé.