Nemmen si sta a dire che, da metà del pomeriggio d’oggi in poi, l’onda delle rivendicazioni di merito sta salendo a panna montata, e sul farsi della notte essa sarà giunta ben oltre l’esosfera puntando, s’ipotizza, sino al terzo anello di Saturno perché uno urla “Bravo io” ed i martiri del leccaculismo sùbito si votano alla sequela, nulla di nuovo. Merito, invece, non v’è da parte di alcuno nell’essere stata abbattuta prima dell’introduzione ovvero della messa in pratica – qui sta la notizia – l’ultima gastrofollia gastrosuissesca su cui s’argomentò or non è guari: come vi sarà di certo stato sussurrato, lunedì 11 maggio avrà infatti luogo la riapertura dei bar e dei ristoranti su suolo ticinese, o quantomeno dei bar e dei ristoranti la cui esistenza non sarà stata nel frattempo stroncata dal bimestre di forzata chiusura covidiana, e sempre che sussistano le condizioni di spazio e di convenienza a ricominciare; in coincidenza di tale evento epocale, ai titolari delle attività – ed avrete intraudito anche questo – era stata imposta la funzione di sceriffi ispettori sulla clientela, sicché all’arrivo ciascheduno fra i clienti (che sono soggetti paganti, io vengo per un servizio e tu mi offri il servizio indicativamente secondo mio desiderio ed io ti verso una somma da te stabilita) avrebbe dovuto fornire nome cognome e numero di telefono, e lo stesso sarebbe valso quale autoattestazione tracciabile “sub specie poenae” nel senso che l’atto era definito come obbligatorio e sottoponibile a verifica, si fosse fermato il cliente nel locale per due ore o per tre minuti. Peggio che mai, con registrazione di posto assegnato e di identità dei compresenti nello stretto raggio di un tavolo, formula finalizzata ad un’eventuale mappatura successiva sull’eventuale diffusione del contagio.
Dopo che ce l’avevano raccontata come condizione inderogabile intrattabile indiscutibile al fine di strappare al Consiglio federale la sospiratissima riapertura anticipata rispetto al “sine die”, tac, guarda un po’, dietrofront e l’innegoziabile divenne all’improvviso negoziabile e, siamo sinceri, nemmen vi fu bisogno di restar seduti al tavolo virtuale, per quanto taluni stiano affermando di aver quasi dovuto rendere l’anima a Dio prima di riuscire convincere l’altro contraente di cotal accordo; macché, Berna non obiettò perché nemmeno aveva argomenti per farlo, mentre il rischio di esposizione a ricorsi e ad azioni legali restava lì galleggiante come un “iceberg” pronto a spiaggiarsi ed a causar rovina sul lido della Baia delle Buone intenzioni. Nel convulso giovedì delle voci inseguentisi e contraddicentisi, per farla breve, si partì dal “Diktat” e si giunse al taralluccianesimo; cancellate dunque quel che vi era stato raccontato (in confidenza tra da nümm, con vergognosa adesione di parte della stampa alla dottrina del pensiero unico), perché del castello di vincoli e di obblighi rimane solo quel che sta a rigore di tutela della salute pubblica ovvero il rispetto delle distanze fra i tavoli, l’utilizzo delle mascherine laddove prescritto, l’abbondanza di guanti fra gli addetti, la sanificazione degli ambienti, gli apparecchi per disinfettare le mani all’ingresso ed in ogni altro momento ciò si desideri, insomma quanto consta e quanto un giro di orizzonte ha permesso di constatare essere in corso d’opera, almeno tra gli esercenti più avveduti e meno piangina. E la schedatura all’ingresso, per l’appunto identità sulle labbra e Natel alla mano magari per lo squillino di verifica, foss’anche stato per un caffè (fulminante la battuta colta in pagine da rete sociale: “Sono John Smith, ed ora un Fendant, grazie”)? Tutto al macero, abbiamo scherzato, fate come se quel paragrafo annegato nelle sette cartelle del protocollo esecutivo (ma per il dardanide Priamo: a quale “pro” questo sproloquio patologico?) non fosse mai stato scritto. Ecco, le cose staranno così: il cliente, su base volontaria e sempre che in quel momento gli sembri che sussista un’utilità qualsivoglia, avrà facoltà di fornire tali indicazioni. Se gli va, e previa garanzia dell’abrasione dei dati (“abrasione” significa “azzeramento”, non castronerie sul genere dell’“Ah-ci-siamo-dimenticati-di-bonificare-il-disco-rigido”).
Quanto sul passo indietro abbiano pesato le voci dissenzienti tra gli operatori del ramo, e quanto danno economico sia stato risparmiato, beh, non si sa ma si immagina. È stato poi evitato il passo nel Precipizio del Ridicolo, una sorta di Rupe Tarpea sita per l’appunto a ridosso della citata Baia delle Buone Intenzioni; ché al barista o al ristoratore è chiesto di rimanere ossequente a determinati testi fra leggi e regolamenti del mestiere, non di investirsi – a spregio e sfregio della sfera privata d’un ospite, figurarsi – del ruolo di tutore dell’ordine pubblico (in delega, e da chi? Da Alain Berset consigliere federale? Da Casimir Platzer presidente della “GastroSuisse” per competenze dalle parti di Kandersteg, o dal suo “vice” Massimo Suter che è anche presidente della “GastroTicino”, e che oggi una pletora di petulanti petenti osannava via “Facebook” quale autore di prodigio nell’aver strappato la revoca della scellerata decisione, con ciò e tra l’altro causando imbarazzo percepibile in Massimo Suter che da sempre è campione di modestia?). Piuttosto: si dica a qualcuno di smettere di pulirsi le mani nel torcione; ché quello, prima ancora che fonte di rischio nella trasmissione del Covid-19, è proprio un brutto modo di presentarsi.