Teologo eminente, e nella Chiesa ticinese figura prominente, ancorché egli si fosse ritirato a vita privata dall’estate 2019; l’impronta, quella, resterà, per quanto del suo sapere e della sua visione “dedicata” rimanga per iscritto per mano sua – ma non di terzi: per un’intervista o anche per due chiacchiere, persino cattolaiche o laicattoliche, era sempre disponibile – assai meno di quel che servirebbe. All’età di 85 anni, due mesi e sette giorni – a dare l’annuncio è stato monsignor Valerio Lazzeri, vescovo di Lugano, durante l’appuntamento con la recita del Rosario sul canale “YouTube” – è transitato nella gloria del Signore il sacerdote e teologo Sandro Vitalini, già presidente della Commissione teologica in seno alla “Conferenza dei vescovi svizzeri”, già provicario generale (2004-2014) della Diocesi di Lugano. Dalle idee e dalle tesi non comuni e vagamente eterodosse, soprattutto nei tempi in cui incominciò a formularle pubblicamente (e, quando parlava in termini dottrinali, ciò era frutto di un pensiero costruito nel tempo), don e poi monsignor Sandro Vitalini, ad esempio in materia di diaconato femminile e di celibato dei sacerdoti; di sicuro, obbediente al Pontefice ma non per questo in pieno accordo con posizioni “extra cathedram” – e le aveva “lette” sia in Giovanni Paolo II sia in Benedetto XVI – su temi che egli considerava essere stati affrontati in modo riduttivo rispetto al ventaglio offerto dal Concilio Vaticano II. Il decesso alla “Clinica Moncucco” di Lugano, dove il presbitero si trovava ricoverato da alcuni giorni; fonti qualificate non esitano nel parlare di “Coronavirus” quale causa del decesso.
Almeno due e meglio tre “fisse”, ed egli quasi gongolava quando veniva portato su tali terreni, stavano piantate nella testa di don Sandro da Campione d’Italia, ascendenze familiari in Valfurva cioè dalle parti di Bormio, praticamente dall’infanzia su suolo elvetico (a Melide, dove la famiglia si era trasferita in tempo di Seconda guerra mondiale, e lì matureranno scelte determinanti): l’importanza dello Spirito santo nella Trinità, l’ecumenismo, ed un Dio da percepirsi sia come padre sia come madre, su quest’ultimo aspetto con lo stesso candore che era stato espresso da papa Giovanni Paolo I. Di don Sandro Vitalini era e rimarrà affascinante anche la storia personale: famiglia di lavoratori, padre titolare di una ditta che trattava di tutt’un po’ dai combustibili ai legnami; niente foglie di fico, “non erano praticanti” ma tenevano assai a che i figli studiassero e poi si scegliessero una vita; una sorella – Carla, amatissima ed a lui premorta – votatasi alla musica e poi apprezzata pianista e docente, due fratelli direttamente in azienda; nelle intenzioni del babbo, per Sandro che era il più piccolo, la via del liceo pubblico. Intervennero però due fatti, l’uno tragico, l’altro “esplosivo”: la repertina scomparsa del fratello Ramis, e la conoscenza con don Cesare Biaggini, che a Melide era parroco. Ora, don Cesare Biaggini sapeva essere polirematico e polisematico ossia polisemico e polemico oltre che poliedrico, ed a difesa della vocazione nascente del ragazzo era disposto a bruciarsi una mano sul braciere, fosse stato il caso: sicché insorse aspra contesa con il padre di Sandro, i due ebbero discussioni dall’eco forse riverberantesi sino a Bissone ed a Capo San Martino, in ultimo si impose don Cesare con il supporto di monsignor Angelo Giuseppe Jelmini amministratore apostolico della Diocesi, ed a quel punto ebbe luogo il trasferimento dal liceo (nel frattempo frequentato per due anni) al seminario. Sarebbero seguiti gli studi in Uni Friborgo; del 1959, proprio per mano di monsignor Angelo Giuseppe Jelmini, l’ordinazione; del 1961 la laurea (tesi su quel che nei Vangeli figura quale concetto dell’“accogliere”), da sùbito e sino al 1968 la docenza in Teologia dogmatica al seminario di Lugano.
A soli 33 anni, docenza di Teologia sistematica (aggettivo diverso, sostanza eguale alla precedente) all’Uni Friborgo: un percorso confermato sino al 1994, per due volte anche come decano della facoltà di Teologia. Al rientro in Ticino, Sorengo la nuova base, e l’ultimo tratto dell’impegno declinato in ogni forma, bastava che gli si domandasse, bastava che gli si chiedesse. Negli ultimi anni, pur tra acciacchi e vari interventi chirurgici e qualche dolore (venne a mancare anche un nipote, suo riferimento), la serenità di un uomo che sa aspettare.