Mai stati facili, al netto della simpatia (da parte di taluni, simpatia sconfinante nella condiscendenza bieca) con cui il progetto è stato seguito, i rapporti tra i BiascaTicino Rockets e l’esterno. Stavolta, e però, siamo alla crisi, e ad una crisi endemica, interna, o per meglio dire fra attori compartecipanti al medesimo percorso su cui la realtà hockeystica vallerana era stata issata sino all’innesto nella cadetteria, in linea di massima con funzioni da “farm team” e per le prime tre stagioni stante la garanzia del posto assicurato in quella che oggi è chiamata Swiss league. Crisi: perché dalla dirigenza dell’Hockey club Lugano giunse stamani una sorta di passo di lato (unica certezza, la disponibilità a fornire quattro elementi più uno straniero sotto contratto anche nel torneo 2020-2021, ma non più il viceallenatore), e perché non si è fatta attendere la replica di Edy Pironaci a nome del Comitato direttivo dell’“Associazione Hockey club Biasca”, che è poi entità promotrice dei Rockets quale sinergia fra più soggetti compartecipanti (gli altri nomi grossi sono noti, cioè AmbrìPiotta e Davos; inoltre, e quale elemento costitutivo, guai a dimenticarsi dei coraggiosi GdT Bellinzona). Parole pesanti: “Da tempo non vi sono più le condizioni per una gestione aziendale generale serena ed equilibrata della “Hockey club Biasca Sa”, (così) come era stata pensata e accettata in origine da tutti gli azionisti”. Bum.
Nella ricostruzione dei fatti, il punto di svolta – che per certi versi coincide con un punto di rottura – è da situarsi a quattro giorni or sono, anche se di malumori malcelati eppure trapelanti si sapeva da settimane, se non da mesi. Proprio sabato 15 febbraio, dice Edy Pironaci, “abbiamo comunicato agli azionisti di non essere più disposti a continuare a lavorare in queste condizioni”. Espressione sibillina, ed alla quale viene la tentazione di annettere significati di ogni genere. L’esercizio sportivo, ad esempio: altra annata dal “record” sciagurato, sette vittorie contro 37 sconfitte sotto Alex Reinhard allenatore, di fatto una replica dei due campionati a guida di Jan Cadieux, mentre – pur stanti i risultati analoghi – si è portati ad assolvere la gestione del primo torneo, non perché alla transenna si trovasse l’“enfant du pays” ossia Luca Cereda ma per l’evidente difficoltà nel cambiar passo tra Prima lega e piano superiore, dove càpita di incrociare i bastoni con gente votata al professionismo puro e con squadre giustamente ambiziose; e, difatti, i neonati BiascaTicino Rockets viaggiarono a vuoto nelle prime 15 giornate, incominciando a marciare (ed a prendersi qualche soddisfazione) solo dalla metà dell’annata in poi. Ma proviamo a trascurare i dati numerici dalla pista, valorizzando invece un effettivo beneficio generato nell’offrire tanto ghiaccio a giocatori rientranti o da candidarsi ad una categoria superiore (causa infortuni, l’AmbrìPiotta delle ultime uscite era imbottito di Rockets in accordo “two-way”), e prendiamo in considerazione il séguito ottenuto: se si fa astrazione per le uscite promozionali su ghiaccio altrui (alla “Resega” di Porza, per esempio) e le giornate in tributo allo “sponsor” principale, quasi sempre i Rockets sono stati gratificati da più righe tipografiche sui quotidiani che dall’afflusso di spettatori, vi fosse o non vi fosse una coincidenza di calendario con altre ticinesi di vertice impegnate in partite casalinghe. Ma forse nemmeno questo è un problema da chiodo fisso (poi, e per carità, si può e magari si dovrebbe discutere sulla gestione del “marketing” e della comunicazione). Ed allora?
Allora vien da pensare. Così come in un matrimonio o in una convivenza, per di più essendo vari i soggetti interessati, solo l’equilibrio nei rapporti ed una sana soddisfazione reciproca permettono di andare avanti. Per troppo tempo, e di ciò ha avuto riscontro la stampa non allineata, c’è stato chi ha preteso di comandare su vari fronti pur non avendo piena legittimazione, o approfittando dei coni d’ombra e della zona grigia. Più volte sono stati ignorate le istanze volte alla richiesta di trasparenza; più volte l’atteggiamento societario (no, pardon, e si precisa: l’atteggiamento di singoli operanti in nome della società) è stato opaco e respingente, il che tra l’altro non aiuta a raccogliere consensi. Il “Chi fa che cosa” è stato quasi sempre chiaro; non così il “Chi decide che cosa”. Guarda caso, la distanza posta tra società e parte del mondo esterno si rivela oggi essere una distanza anche all’interno della società; vedremo se l’ultima nota-stampa, diffusa in serata a fini pacificatori dai terzi attori nella vicenda e dunque si parla proprio di un comunicato a sei mani (AmbrìPiotta, GdT Bellinzona e Davos), condurrà a qualche esito positivo e, prima di tutto, alla conferma del progetto Rockets a questo livello, sempre che la salvezza venga conseguita.
E lo si dica: pessima e sconcertante, per tempistica, è l’esplosione della crisi. Pessima perché da venerdì un manipolo di agonisti, parecchi dei quali lodevoli al di là dei risultati ottenuti, sarà chiamato a battersi per la conferma nella categoria in un ansiogeno “play-out”, partendo da “meno 18” rispetto al Sierre, da “meno 16” rispetto all’AccademiaZugo e da “meno quattro” rispetto al Winterthur e trovandosi dunque in debito di ossigeno (per classifica) sin dal primo ingaggio. Era il caso di turbare l’atmosfera proprio adesso? Come possono sentirsi, per quanto determinati a rispettare gli impegni, quei giocatori cui viene preconizzato il rischio di non avere un futuro con gli stessi colori che essi stanno difendendo? E nel desiderio annunciato di “trovare soluzioni” (questo il messaggio dall’ultima voce intervenuta) non si ravvisa un’insufficiente qualità di risposta a ciò che Edy Pironaci si è sentito in dovere di rappresentare, e cioè nel fatto che solo “alla prossima assemblea degli azionisti” sarà reso noto che cosa sia in animo di fare?