I titoli di studio dell’Ipus, pretesa e pluripubblicizzata realtà “universitaria” già con sede in Chiasso e gemmatasi in sviluppo con la parimenti “atipica” Unipolisi in quel di Disentis-Mustér (Canton Grigioni) ma con sede legale a Sion (Canton Vallese), avevano un valore: più o meno, quello del foglio di carta su cui erano stampati, cosa di cui tuttavia gli iscritti (e paganti) non erano stati resi edotti credendo invece essi di poter concludere il ciclo di studio – addirittura con una laurea “svizzera” e con una laurea “europea”… – in una fra le varie discipline proposte, dalla fisioterapia alla psicologia, dalle scienze infermieristiche alla sociologia e financo (poteva mai mancare, in un contesto nel quale sembra che tutti possano insegnare?) al giornalismo. Ed oggi, in sede di Corte d’appello-revisione penale, sul già titolare e sulla già segretaria – oltre che ex-compagna del titolare medesimo – sono piovute condanne più pesanti rispetto a quelle irrogate ad inizio novembre dello scorso anno sull’esito di due giorni processuali davanti alla Corte delle assise criminali in Mendrisio, giudice Marco Villa, accusa sostenuta dalla procuratrice pubblica Raffaella Rigamonti: per Vincenzo Amore, ora 60enne, 36 mesi da espiarsi – 10 erano tuttavia stati scontati in regime di carcerazione preventiva – contro i 26 inflitti nell’istanza precedente; per la collaboratrice-factotum, ora 48enne, 30 mesi (di cui sei da espiarsi) contro i 20 mesi sospesi condizionalmente per tre anni. All’epoca, le richieste di pena erano state formulate in 46 mesi a carico dell’uomo ed in 36 mesi a carico della donna, con espulsione dal territorio elvetico per 10 anni, in ragione di addebiti quali la ripetuta amministrazione infedele qualificata e la ripetuta truffa aggravata.
Dei soldi, vabbè, nessuno tra gli studenti truffati tornerà in possesso, tanto di più perché dall’ottobre 2017 l’Ipus – già con sede in via Vincenzo Vela 4, e poi in via Livio 12 – è entrata nel lungo elenco delle società radiate dal Registro di commercio; e cadavere, dal punto di vista giuridico, è anche l’“Unipolisi Sàrl”. Vincenzo Amore, del resto, aveva sostenuto in aula di aver pagato con una certa regolarità e di aver investito parecchio in pubbliche relazioni, pubblicità, contatti e spese vive. Quanto all’Ipus qualcosa rimane almeno come traccia scritta: una pagina “Facebook” sulla quale campeggia ancora l’invito all’“Open day” di sabato 17 settembre 2016. Chi arrivò a Chiasso, quel giorno, trovò porte sbarrate, luci spente (unico preavviso: “Si avvisa che, per questioni tecniche, gli uffici rimarranno chiusi dal 1.o settembre al 12 settembre”; a fianco, una nota sulle lezioni che sarebbero state tenute “nella nostra sede di Chiasso” e nella sede della “Albanian university”, “partner” a Tirana…) e qualche studente che, vivendo magari a 1’200 chilometri dal Ticino, era tornato giusto quel giorno per riprendere contatto con l’ambiente, portandosi dietro anche un carico di interrogativi che nel frattempo – si sa, la stampa indaga – si erano addensati sul cosiddetto “ateneo”. Ma al centralino dell’Ipus, ed anche con le informative distribuite per tramite di una sorta di quotidiano in via informatica, rispondevano sempre con formidabile serenità; sostenendo, ad esempio, che non era necessario farsi “convalidare il titolo in Italia”, dal momento che esso risultava “valido a livello europeo”; unico impegno da assumersi era allora il “richiedere l’abilitazione alle autorità competenti – per esempio, il ministero della Salute – dello Stato in cui si vuole esercitare la professione”; operazione semplicissima, bastando la presentazione della domanda con gli allegati necessari (ossia “diploma di laurea, diploma supplementare, piano di studi e certificazione delle ore di tirocinio”. In pratica, quel che non c’era.
Quanto alle collaborazioni paritetiche e paritarie instaurate con sedi accademiche a Pitesti (Romania) ed a Maribor (Slovenia), le inchieste giornalistiche fecero quanto ai controllori era sfuggito. Ma, e lo si ammette: il sistema era stato congegnato in modo persino brillante; a danno di docenti e studenti, eh, il meno che si possa affermare.