Ed infine tutto cambiò affinché nulla cambiasse. All’ottava votazione, la seconda della giornata di sabato, il quasi 81enne Sergio Mattarella è stato rieletto stasera quale presidente della Repubblica italiana, in successione a sé stesso avendo ricoperto tale funzione già dal febbraio 2015 ad ora. Sul politico palermitano, già parlamentare per la Democrazia cristiana e poi per Partito popolare italiano, “La margherita” e Partito democratico, si è indirizzata la maggioranza dei cosiddetti “grandi elettori” ossia deputati, senatori più un gruppo di aventi diritto in rappresentanza delle Regioni; in precedenza, sui veti contrapposti, erano state “bruciate” candidature di bandiera (Silvio Berlusconi sostenuto dal Centrodestra, idem Maria Elisabetta Alberti Casellati presidente del Senato) ed anche di presunta larga convergenza (Pier Ferdinando Casini, in Parlamento sin dal 1983) o con eccellente “curriculum” (Marta Cartabia, costituzionalista e corrente ministro della Giustizia); per mesi, inoltre, quale candidato unico al Colle era stato sussurrato e ventilato il nome di Mario Draghi, odierno presidente dell’Esecutivo.
Nell’impossibilità di giungere ad una soluzione cointeressante, pur avendo avuto lungo tempo (sette anni, in effetti) per valutare i “pro” e i “contra” di singoli profili, ecco emergere la formula dell’“usato sicuro”, unico scoglio – poi superato – il riuscire a convincere lo stesso Sergio Mattarella a ritornare sui suoi passi dopo reiterate manifestazioni della volontà di considerare chiusa tale esperienza (nei giorni scorsi, tra l’altro, lo sgombero di ufficio e residenza); fatto curioso, proprio in coincidenza con l’elezione dell’83enne Giuliano Amato – giurista, già esponente del Partito socialista italiano, per due volte presidente del Consiglio, altro emblema del “Tutto torna, nulla si cancella” – alla guida della Corte costituzionale. In immagine, Sergio Mattarella.