Da una parte vien persino la tentazione di ammirarli: in fondo, scelgono di essere coerenti con sé stessi, di restare fedeli alla linea, di non deflettere d’un centimetro. Poi ti domandi: vabbè, ma quale sarebbe questa linea, ed in quale modo si esprime la coerenza? Con la dispersione del voto, e nella perfetta consapevolezza di andare incontro all’iceberg d’un responso elettorale micragnoso? E questi ti rispondono a modo loro: schierando non una ma due liste, per la Camera bassa delle Federali di ottobre. Due. Nel nome dei “Verdi liberali”, cioè otto candidati in un blocco per il partito in quanto tale ed otto candidati in un altro blocco sotto le insegne dei “Giovani Verdi liberali Ticino”. Così oggi, in assemblea a Lugano; esattamente così. Due liste. Per stringere un pugno di mosche, per andare in un mucchio.
Oggettivamente parlandosi, l’interrogativo si impone. Alle ultime Cantonali, che sono quelle di inizio aprile 2023, su 125’483 persone che si sono espresse nelle urne (224’109 gli iscritti in catalogo, al 55.99 per cento la partecipazione al voto), in corpo unico l’accoppiata “Verdi liberali più Giovani Verdi liberali” ha goduto dell’appoggio di 1’161 elettori, il che sta ad indicare un non brillantissimo 0.96 per cento, sul fronte del Consiglio di Stato, dato elevatosi all’1.49 per cento al computo dei voti di lista; penultimo posto sulle schede (alle spalle il “Movimento per il socialismo” con l’appoggio di indipendenti), ultimo posto sui voti di lista. Passaggio al responso per il Gran Consiglio, dove 14 e non 10 erano le possibili destinazioni del voto da parte dei cittadini: 1’424 schede, controvalore 1.18 per cento, e balzo sino all’1.58 per cento sui voti di lista; tolti “Dignità ai pensionati” e “MontagnaViva”, rimasti fuori dal Legislativo, ancora uno splendido ultimo posto in grado di produrre due dicansi due rappresentanti. Onorevolissimi, s’intenda, e da loro ci aspettiamo molto nella legislatura appena apertasi. Ma sono due, e due restano.
Con tale evidenza da “force frappante” inespressa per carenza di effettivi, di armi e di munizioni, sicché meglio si direbbe indicandola come “force frappée”, l’“Alleingang” conclamatosi oggi – a proposito: nomi nessuno, gli elenchi saranno formati fra un po’ – è interpretabile in vario modo ma ben difficilmente con uno sguardo benevolo. Tradotto: i “Verdi liberali”, che per autodefinizione si considerano “la “start-up” politica del Canton Ticino” e ad essere in loro si sceglierebbe un profilo un po’ meno pretenzioso, ad aprile si sono piazzati sulla soglia sussistenziale di accesso ed anche al punto più basso delle ambizioni espresse durante la campagna elettorale, ché due granconsiglieri erano stati dichiarati come obiettivo minimo ma l’occhio puntava a quota cinque, perché con cinque “formeremmo il gruppo parlamentare ed entreremmo quindi nelle commissioni”, parole di Massimo Mobiglia fondatore della sezione in Ticino e già presidente (come sia andata poi con le Commissioni già sappiamo, essendo stata formulata “ex post” una sorta di deroga-pacchetto funzionale a far spazio anche alle compagini di terza schiera per quantità di consensi raccolti). Per le Federali, potendo di massima contare su quel blocco di voti con uno scostamento da 10-15 per cento in più o in meno, il presentarsi da soggetti autonomi cioè non apparentati nella modalità della congiunzione non è nemmeno un messaggio alla “Qui piazziamo una bandiera per poterci contare”; a rigor di quel che si è lasciato sfuggire Stefano Dias, nel frattempo confermato sulla tolda di comando (suo “vice” è Mario Borsese, anch’egli in rinnovo di mandato), non c’è proprio stato modo di fissare un’alleanza con qualcuno. Strada a fondo cieco nella direzione dei “Verdi del Ticino”, per concorrenza sui temi dell’ambientalismo e purtroppo è quel tipo di concorrenza che spinge all’estremismo dell’irragionevolezza (ultimo esempio di sfida al rialzo: il lancio di una petizione – indiscutibile prodotto democratico, ma ormai utile quanto una firma su “change.org”; e, guarda caso, anche qui viene utilizzato il facile strumento della – per far imporre un pedaggio di percorrenza alla galleria del San Gottardo, addirittura con prezzi che sarebbero da adeguarsi secondo le previsioni di traffico). Strada a fondo cieco anche nella direzione del “Centro” cioè del già-ma-non-ancora-già Partito popolare-democratico: e sì che alla sincera collaborazione elettorale si erano votati gli autori dell’alleanza stipulata nell’agosto 2015 in funzione proprio delle Federali che sarebbero giunte da lì a due mesi, ponendosi sul piatto la “condivisione di una visione basata sulla persona umana”, e santa pace, di che altro ha da occuparsi la politica se non della “persona umana”, identità il cui destino naturale è l’essere in dialogo – meglio: l’essere “in un incontro” – con un’altra persona? Eppure, carta morta, anche questa che “in nuce” era invece un canovaccio di risposta frontale a modelli privi di cultura ma sempre un passo avanti nel rivendicarsi in forma egemonica.
Altre vie, se sono state tentate, non hanno portato a nulla; altri potenziali interlocutori, se sono stati interpellati, hanno detto “no”. Al che tre quesiti che Stefano Dias ed i suoi dovrebbero porsi: a) stanti le zero prospettive virgola zero di successo nella corsa a Berna, non vi è il timore di un’emorragia di consensi verso lidi in qualche modo più rappresentativi nella specifica istanza politica?; b) stanti le zero prospettive virgola zero di successo nella corsa a Berna, a che servono due liste?; c) stanti le zero prospettive virgola zero di successo nella corsa a Berna, a che serve la lista?