Non escludono nulla, i vertici dell’“Ente ospedaliero cantonale”, pur sostenendo che nel caso di specie il rischio di contagio è ad ogni modo da considerarsi “contenuto”. Per l’appunto: contenuto, il che non equivale a zero. E piace poco, quasi per nulla, l’operazione di pompieraggio scattata oggi contestualmente all’annuncio del fatto che nelle scorse ore “una persona” (uomo, donna? Passi per la discrezione, ma si sia coerenti almeno sugli obblighi basilari dell’informare i cittadini su cose di loro precipuo interesse) è risultata positiva alla tubercolosi. Non una persona qualunque, in verità: trattasi di figura alle dipendenze dell’Eoc medesimo ed operante all’“Istituto pediatrico della Svizzera italiana”, nel Sopraceneri ed a questa stregua si potrebbe anche dire Bellinzona. Ma è anche individuo venuto e meglio rimasto spesso a contatto diretto con il pubblico, ovvero con i bambini. E stiamo parlando di tubercolosi, materia nota ogni anno a circa nove milioni di soggetti, ma ridotta su suolo svizzero a meno di 550 casi nel medesimo periodo, per la maggior parte tra i rifugiati.
Come sia che un’evidenza di tal genere si sia manifestata in un contesto che per sua natura e per sua delicatezza è iperprotetto a doppia cerchia di tutela sanitaria, bell’ìnterrogativo; se arriva alla svelta anche una spiegazione, tutti più sereni. Per ora ci si contenti del ricostruibile sino allo stato dell’arte, ovvero che: a) a diagnosi effettuata, l’operatore sanitario è stato collocato in isolamento; b) come da prassi, e per tramite della “Lega polmonare ticinese”, all’Ufficio del medico cantonale è stata prediposta un’indagine ambientale tesa a far individuare “i contatti a rischio”, in coerenza con quanto definito dalle linee-guida di riferimento che è poi il solito brogliaccio per la solita formulazione del tracciamento; c) lo “screening” sarà limitato ai bambini di età sino ai cinque anni ed ai soggetti sofferenti per grave immunosoppressione. E qui le cose diventano spesse: chi si suppone sia stato coinvolto verrà contattato da personale o dell’Eoc o della “Lega polmonare ticinese” per una valutazione sull’eventuale necessità di analisi specifiche, “generalmente limitate ad un prelievo di sangue” – occhio all’avverbio – e, comunque sia, in conformità con le raccomandazioni formulate dai vertici della “Lega polmonare svizzera” (traduzione: se vi chiamano, l’invito a sottoporvi alle analisi sarà quantomeno pressante).
C’è da preoccuparsi? Dicono – e riferiamo – che no, proprio non è il caso. Non propriamente rassicurante, tuttavia, la comunicazione a tale proposito: “Durante lo svolgimento dell’attività, in considerazione della situazione pandemica da Covid-19” e dei provvedimenti di protezione che a tale contesto erano correlati, il soggetto “ha sempre indossato una mascherina”; eppoi, in nessun caso trattasi di un’emergenza sanitaria e non sussiste l’esigenza di isolamento di tali pazienti “in quanto essi non rappresentano un pericolo per quanti stanno loro vicino”. Corollario: “Solo dopo la valutazione verranno proposti eventuali trattamenti profilattici”. Insomma, nulla che vada male ma non si può escludere che la tubercolosi sia già andata in circolo, a spettro ridotto ma in circolo. Spazio ultimo per il rammarico, ché dispiacere viene espresso “per il disagio arrecato ai pazienti ed alle loro famiglie”; giusto, ma altrettanto giusto sarebbe stato il manifestare disagio per l’avvenuta penetrazione della Tbc in un àmbito quanto mai sensibile e fondamentale nel sistema della medicina somministrata a tu per tu. Una linea telefonica è nel frattempo stata istituita, finalità primaria il rispondere ad eventuali quesiti da parte di genitori o tutori o familiari “in genere” di quanti siano stati trattati o siano in trattamento all’“Istituto pediatrico”: numero 091.8119600, copertura del servizio dal lunedì al venerdì tra le ore 8.30 e le ore 12.00 e tra le ore 13.00 e le ore 17.00.