Avrà messo alle spalle 980 chilometri stradali tra “handbike” e carrozzina da corsa e 75 chilometri a nuoto, nel pieno spirito del paratriahtlon, quando domani, martedì 30 luglio, indicativamente alle ore 15.00, sulle rive del Ceresio a Lugano – foce del Cassarate il traguardo scelto – giungerà al termine dell’impresa solitaria cui si è dedicata quest’anno con una prova mai tentata da alcuno, a tempi compressi ossia due settimane circa, obiettivi primari lo spingersi un po’ più in là ed il dimostrare alle persone divabili, cioè a quelle di cui condivide la condizione, che “è sempre possibile vivere pienamente credendo in sé stessi”.
All’atto finale di un’impresa storica è dunque Silke Pan, campionessa paraolimpica, vincitrice sia nel 2017 sia nel 2018 del “Giro d’Italia” in “handbike”, detentrice di vari “record” di categoria oltre che inventrice di una disciplina estrema qual è l’ultraparaciclismo, di fatto una specialità dell’“handbike” su strade alpine con dislivelli anche oltre il 12 per cento; nel primo anno di attività, 13 vette raggiunte; nel 2018, sul progetto di tracciato del “Raid dei Pirenei”, 26 vette in 10 giorni per 800 chilometri in tutto. Storia degna delle copertine, quella di Silke Pan, germanica per nascita (a Bonn, gennaio 1973) e cresciuta nella Svizzera romanda, poi cittadina svizzera: sùbito una straordinaria attitudine per gli sport acquatici e per quanto sta in volo libero, prestazioni di eccellenza nei tuffi, formazione scolastica sino alla maturità, poi la scelta delle attività circensi come percorso di vita: a Berlino (“Scuola nazionale del circo”) il diploma, con specializzazione nel contorsionismo, nella passeggiata sulle mani e nel trapezio, indi esperienze in vari contesti e l’ingresso nel mondo del “Circo Nock” grazie ad Eric Nock che di Silke Pan sarà “manager” per otto anni. Nel frattempo, l’incontro con Didier Dvorak, anch’egli circense di primo piano e futuro marito; con lui la costituzione del “Duo Robin street”, altra esperienza condotta per lungo tempo su scene nazionali ed internazionali. Nel 2007, percorso spezzato da una caduta dal trapezio, sette metri che cambiano un’esistenza per questione di centimetri, la distanza tra il vuoto ed un lembo salvifico della rete di protezione: frattura di due vertebre, “e così mi ritrovai paraplegica”.
Una vita da ricostruirsi, cosa che Silke Pan fa: da una parte, come artista; dall’altra, l’adesione al paratriathlon, licenza agonistica staccata nel 2012, sfide in Coppa Europa ed in Coppa del mondo, grande soddisfazione (2013) dal miglior tempo mondiale nella maratona. Non poche le difficoltà incontrate anche nei rapporti con la Federazione germanica, tanto che l’atleta parlerà apertamente di “disillusioni” e di “mobbing” subito; da qui un provvisorio distacco (con l’abbandono dei quadri della Nazionale “A” e con l’uscita dal circuito dell’“Unione ciclistica internazionale-Uci”) nel 2016, competizioni proseguite in àmbito extra-Uci già dall’anno successivo (e grazie al tesseramento con una società italiana, mentre stanno maturando i tempi per la naturalizzazione effettiva in Svizzera e per l’approdo nella rappresentativa rossocrociata). Del resto si sa: successi, medaglie, programmi agonistici anche estremi, collaborazioni in progetti scientifici (ad esempio, nello sviluppo di una nuova versione di esoscheletro al “Poli” di Losanna). E le prove che Silke Pan dà a sé stessa, ed all’universo, circa la possibilità di spostare ogni giorno più in là i paletti delle risorse umane conosciute. Come domani, alla foce del Cassarate, dopo 26 chilometri in “handbike” e quattro a nuoto. Per lei, Silke Pan, sulla chiusura di un’impresa storica, sarà quasi una passerella.