Lugano – scusi, Lei in terza fila? Ha ragione, eccerto, in qualche modo noi si finisce sempre nei premi – il fulcro dello scandalo che sta per abbattersi sull’italico programma televisivo “Grande fratello vip” trasmesso da “Canale cinque”: secondo le risultanze di un’inchiesta giornalistica in fase di pubblicazione sul settimanale “Oggi”, tre concorrenti, tra di loro sorelle – si chiamano Clarissa, Jessica e Lucrezia – e partecipanti come figura unica nella sfida ad eliminazione secondo gradimento del pubblico, sono figlie di un cittadino italiano temporaneamente ospite del sistema penitenziario ticinese, area “Farera”, dopo estradizione avvenuta or è un paio di settimane dal Lussemburgo su mandato della procuratrice pubblica Chiara Borelli, e ciò in forza di accuse pertinenti ad un giro truffaldino da buoni 10 milioni di franchi nel complesso (non ridete: qualcuno sta tentando di rivendicare e di esigere il pagamento di obbligazioni di Stato emesse in dollari Usa ai tempi della Repubblica di Weimar, tra il 1924 ed il 1930, come parte di un’operazione a salvamento delle finanze pubbliche. Peccarità).
Si dirà: non è buona pubblicità per le ragazze, ma bisogna saper distinguere, e guai se le colpe dei padri ricadono sui figli. Peccato che la presenza delle tre giovani, che a rigore di schede fornite hanno tra i 19 ed i 26 anni e della cui esistenza poco o nulla si sapeva sin all’altr’ieri (occhio: questo è il “Grande fratello vip”, il biglietto d’ingresso è dovuto ad un minimo sindacale di notorietà), sia dovuta semplicemente al loro asserito rango nobiliare, ovvero all’essersi dichiarate pronipoti di Hailé Selassié, all’anagrafe Tafari Maconnén, ultimo imperatore dell’Etiopia, dinastia ascritta nelle origini a re Salomone ed alla regina di Saba; al che il padre delle ragazze risulta o risulterebbe nipote diretto di Hailé Selassié e con il nome di Aklile Berhan Makonnén Hailé Selassié, mica pizza e fichi, egli ha circolato in lungo ed in largo.
Dove è l’inghippo? Si sgombera sùbito il campo: non c’entra la differente grafia del cognome, essendo frequente l’oscillazione tra “c” e “k” nel trascritto. Negli atti dell’arresto, avvenuto a giugno in Lussemburgo dopo denuncia presentata in Ticino per firma di tre che si sarebbero fidati delle panzane altrui, l’uomo è in realtà indicato come Giulio Bissiri (Bissari secondo altra trascrizione riferita); in altro documento da “database” internazionale, e trattasi di materiale giunto tra l’altro nelle disponibilità del “Giornale del Ticino”, egli figura come Aklile Berhan Giulio Makonnen Haile Selassie Bissiri. Un semplice nome in piú nel contesto di una famiglia dalle ramificazioni assai complesse? Non proprio: stando agli esiti dell’inchiesta giornalistica, la massima vicinanza di Giulio Bissiri alla dinastia Maconnén sia stata quella propria di un ragazzino che giocava con i coetanei della dinastia medesima all’interno della villa della famiglia Maconnén. Nel senso che Giulio Bissiri, effettivamente nato in Etiopia, sarebbe figlio del giardiniere di fiducia dei Maconnén e, come tale, avrebbe avuto libero accesso sia ai luoghi sia alle storie familiari; da adulto, nel corso degli anni e forse con la connivenza di familiari “autentici”, egli sarebbe riuscito a farsi accreditare occasionalmente quale discendente di Araya Yohannes, secondogenito di Hailé Selassié e dunque conosciuto come Maconnén Hailé Selassié oltre che insignito del titolo di “duca di Harar”. Si sa tuttavia che Araya Yohannes, purtroppo passato a miglior vita all’età di nemmeno 34 anni nel maggio 1957 causa incidente stradale, era padre di “soli” sei figli – Paul Wossen Seged, Mikael, Dawit, Taffari, Maconnén Aklile e Beede Mariam – concepiti tutti con la moglie Menen Asfaw. Possibile che l’Aklile Maconnén terzo o quarto in linea di successione sia stato in qualche modo “sostituito” da Giulio Bissari, stesso anno (presunto) di nascita ovvero il 1956? Tema di un certo peso, e non pochi gradirebbero il poter dare un’occhiata a tutte le carte, comprese quelle che hanno condotto all’arresto.
Dall’oggi al domani, nei fatti: a) le tre sorelle dichiaratesi pronipoti di Hailé Selassié potrebbero ritrovarsi solo nipoti del giardiniere, mestiere nobilissimo – e necessario fors’anche più di quello d’un principe – ma che fa a cazzotti con l’occhio dei riflettori in quel luogo da tutti anelato (bum); b) il babbo delle tre sorelle, anche qualora venisse fuori pulito – il che si augura – dalla questioncella giudiziaria problematica, dovrebbe in ogni caso spiegare o pubblicamente o privatamente quale sia il pasticcetto ereditario, insomma, dove sia finito il sangue blu e dove abbia avuto inizio l’immissione di sangue plebeo; c) alla produzione del “Grande fratello vip” avranno un bel daffare per spiegare al pubblico che uno tra i perni di interesse dell’edizione corrente potrebbe rivelarsi tarocco quanto una moneta da tre franchi. Dovendosi dir tutto ma proprio tutto: due delle tre sorelle, cioè Jessica e Lucrezia, erano state colte in fallo nell’ultima puntata. Nulla di straordinario, in Italia, dove persino qualche ministro si era ritoccato il “curriculum”: l’una aveva affermato di essersi laureata in Scienze della comunicazione, l’altra si era traslata d’ufficio al compimento del percorso di studi in “International business”. In un ateneo privato di Alpha Centauri succursale Grande Ciufolo, si immagina.