Nell’attesa dello storico “vertice di Ligornetto” annunciato per domani tra gli omologhi Luigi Di Maio ed Ignazio Cassis, in rappresentanza di Italia e Svizzera, riaperti oggi tutti i valichi di confine della Confederella e rimossa pertanto ogni restrizione residua; nel senso, per stare alle nostre latitudini, che libero è l’accesso dall’Italia in modalità schengeniana, e che privo di condizioni è l’ingresso dalla Svizzera ad Azzurrolandia. Andare e venire a piacimento, per esigenze reali o per diporto, per il gusto d’un caffè da qualche parte a Maccagno con Pino e Veddasca (provincia di Varese, ma per modo di dire: Maccagno e limitrofi hanno sempre formato Repubblica ed anzi nazione a sé stante) o perché nella brianzola Veduggio con Colzano s’hanno da sbrigare affarucci rimasti in sospeso, e nemmen dicesi della trascurata e struggentesi amante da lungi allogata in quel di Solarolo Monasterolo frazione di Motta Baruffi (chi, in Ticino, non potrebbe vantare una relazione clandestina dalle parti di Solarolo et cetera?); idem dicasi per i movimenti in direzione opposta, da Trevano nel comasco Comune di Uggiate-Trevano a Trevano inteso quale zona cinturale di Lugano, e da Carnago varesotta verso Carnago capriaschese, nientemeno. Al concreto, per non pochi si tratta e si tratterà del ritorno alla spesa settimanale in un “Eurospin” a Luino o in un “Bennet” ad Olgiate Comasco, investimento massiccio in carne affettati pesce per giocare sul risparmio, in più l’accortezza dello scomputo dell’Iva per la merce destinata all’esportazione definitiva (cioè all’ingresso, una volta per tutte, su suolo elvetico). Con facoltà di movimento in auto di privata proprietà (uno davanti ed uno dietro, non è uno scherzo, se si viaggia in due), in bus e persino nel ritrovato “Tilo” transfrontaliero, ché da stamane non più Chiasso e Stabio sono le stazioni terminali della linea in territorio ticinese.
Constatiamo: pur nell’avvenuta rimozione del blocco già disallineatosi da una dozzina di giorni (Italia dice frontiera aperta, Svizzera mantiene frontiera chiusa se non per frontalierato, casi di rigore e quel popoino di cui si sapeva), non è che all’“ora X” di lunedì 15 giugno gli sbarramenti siano stati divelti e rimossi sotto la spinta di torme di cittadini in fascia tricolore e proiettatisi contro i cancelli al grido di “Lasciateci entrare”, come i 3’000 che nell’ultima notte del “Muro di Berlino” divennero falange macedone al “Checkpoint Charlie”; non è poi che stamane i valichi siano stati presi d’assalto, non è che si siano viste colonne di veicoli in allegra marcia sull’urlo “Wir kommen wieder”, non è che si sia assistito a scene di giubilo con italiani e svizzeri virtualmente abbracciantisi. Si è rientrati ordinariamente ed ordinatamente nell’ordine delle cose, that’s all, con la speranza di essersi messi alle spalle il peggio della stagione oscura da Covid-19, e dunque il carico luttuoso ed il gravame di interrogativi irrisolti perché nemmeno la medicina, che per sua natura è somma ed a volte (solo a volte) sintesi di esperienze, è ad oggi riuscita a dilavare una serie di dubbi ed a fornir risposta da punto fermo ad una quantità di domande. Giustamente torna garantito il diritto all’incontro tra persone che erano abituate a contare l’una sull’altra, per quanto l’uno in targa “I” e l’altro in targa “Ch”; osservasi tuttavia il fatto che gran parte del problema sarebbe rimasto irrisolto anche se nessun divieto fosse pervenuto ad affliggere l’osmosi transconfinale, giacché l’ira dell’autorità costituita in Italia si sarebbe abbattuta su chiunque – sempre con l’eccezione dei frontalieri – avesse avuto l’ardire d’uscire dalle irreali frontiere della Regione di residenza, e già la cosa fa ridere di suo per conclamata illiceità, ed in prima battuta persino dal territorio comunale e persino dall’uscio di casa.
Sulle regole da seguirsi appena si varchi questa frontiera non ci si dilungherà: in primo luogo perché sembra che si sia ripiombati ai tempi delle Signorie con il Marchesato di Saluzzo ad occidente ed il Regno di Napoli a sud e la Repubblica di Venezia ad oriente, ed ogni regione si è fatta norme proprie, sicché fino a venerdì ultimo scorso si sapeva che in Lombardia la mascherina facciale – quella che il capo della Protezione civile in Italia afferma essere inutile – era obbligatoria sino ad oggi mentre venerdì tale utilizzo è stato prorogato, sempre sotto minaccia di pene draconiane, almeno sino alla fine di giugno, e ciò mentre già nelle Marche parlano di proroga per l’intero periodo estivo (ma le cose potrebbero mutare da un minuto all’altro); in seconda battuta, perché l’unico modo per stare tranquilli consiste nel leggere tutto, nel leggere in fretta, nel memorizzare e nel metabolizzare, ed alla meglio nell’avvicinare un poliziotto o un carabiniere per chiedergli indicazioni. Si sappia ad ogni modo che nei negozi s’ha da entrare vestiti e bardati a guisa d’una che sia costretta ad indossare o il niqab o il burqa, e che la voce del Grande fratello audiovisivo vi piomberà addosso se, per errore o per distrazione, vi sarete avvicinati o vi sarete fatti avvicinare al di sotto della soglia di rispetto. Ah, giusto per complemento: se avete fatto code di cinque minuti davanti ad un “Aldi” a Losone, preparatevi a file da manicomio davanti ad un “Carrefour”. E chissà di che parleranno domani, nella Yalta de noantri, Gigi Di Maio ed Ignazio Cassis, dopo le scaramuce da “Confine spalancato, confine paralizzato, se tu apri non vale”.