Meritorio è il restituire al territorio una toponomastica legata alla tradizione, in parole povere il ridare ad un luogo il nome con cui esso figurava sulle labbra dei nostri vecchi e sulle cartine dell’epoca; ed interessante è lo sforzo di quanti, nel recupero elaborato previa compulsazione di testi e di documenti, abbiano scelto di utilizzare i termini propri del vernacolo locale, ergo spendendo il dialetto in luogo dell’italiano, soprattutto nei borghi vallerani e nelle località discoste. Un intervento di tal genere comporta tuttavia qualche difetto di praticità: si pensi anche e soltanto – ce ne parlava giorni addietro il direttore di un istituto bancario – al corretto inserimento di dati in forma elettronica laddove in una singola parola figurino un paio di accenti ed altrettanti segni diacritici, tipo l’accento circonflesso che magari vuol testimoniare un’apofonia anziché un accento e la dieresi che magari vuol solo rappresentare graficamente un suono diverso.
Vari grattacapi l’operazione sembra aver causato in particolare agli amministratori pubblici di Avegno-Gordevio, ValleMaggia appena sopra Ponte Brolla. Già sussiste ancor oggi, e sì che se n’andiedero 10 anni buoni dall’aggregazione tra le singole realtà comunali, una dicotomia di pensiero circa uso disuso non-uso del trattino nella denominazione ufficiale del Comune: al primo contatto, l’automobilista che risalga da Locarno trova infatti “Avegno-Gordevio” in lettere bianche su sfondo blu, come è logico; ma “Avegno spazio bianco Gordevio” è quel che sta scritto sulla carta intestata del Comune, aspetto discutibile giacché tra l’altro si insinua una presunta supremazia dell’un borgo sull’altro, foss’anche in sola forza del venire la “A” prima della “G”, ed a mormorare in tal senso è soprattutto qualche gordeviese che vien giù con il trattore dalla Strada forestale con sbarra a preclusione del transito di inopportuni viandanti. Metti poi il caso, ed il fatto, che sotto Laloli Mario sindaco della concordanza l’implementazione odonimica si tradusse in una revisione effettivamente ad ampio spettro, e si sa, maggiore è il numero delle questioni trattate e più alto rischia di essere il mugugno popolare: per dire, l’abitante del Quartiere Croci fra il riale Teia e il riale Brièè – gran bel posto, ville di pregio, strada a fondo cieco direzione fiume con piazzuola di giro e dunque transito veicolare ridotto ai residenti, persone tra l’altro dalla simpatia a tutta prova e ben disposte a darsi una mano vicendevolmente – si ritrovò a passare da tale denominazione (anno 2018) ad un più problematico “Al Crös” (anno 2019), con riduzione da più croci ad una sola croce e con pretesa pronunzia della “ö” in modalità dissimile da quel che s’imporrebbe per le cosiddette “vocali turbate”. Ma era, quella, una prima e provvisoria fase: dando tra l’altro comunicazione a tutti i fuochi, gli amministratori pubblici dell’ameno comprensorio biborgo provvidero or non è guari (anno 2020) ad un’equa ri-revisione laddove fossero stati indicati dubbi o incertezze, insomma, quel che ai giorni nostri passa sotto la colonna delle “criticità”. Ed ecco che il già Quartiere Croci a via unica ma non indicata quale via, poi “Al Crös” con ellissi del sostantivo, procedette verso un presumibilmente definitivo “Ai Crös”, riconquistando la pluralità dei soggetti ma, ahinoi, non la pienezza fonetica.
Un nulla, in ogni caso, rispetto a quel che si trova in giro, quale esito di atti dialettizzanti che somigliano assai all’italianizzazione forzata nel Sudtirolo ovvero laddove Terenten divenne “Terento” anziché un più congruo “Torrente” ed “Uttenheim” fu disconosciuto dal bavarese Uota (nome di personaggio storico, sicché quella era “casa di Uota”). Un nulla rispetto anche all’errore di trascrizione, rilevato sempre ad Avegno-Gordevio, su via Brièè (manca il secondo accento, nel cartello). Ed un nulla, soprattutto, rispetto a qualche sfregino che continua ad allignare sul territorio: a Novaggio, per dire, resta aperta l’ormai ventennale battaglia su via Merdögn…