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Pala & piccone / Collega, guarda che il Medioevo è roba dell’altr’ieri…

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Nella zona del cimitero cosiddetto “di san Biagio” a Cittiglio in provincia di Varese, 20 chilometri e briciole in linea d’aria dalla frontiera, sono in corso da anni vere e proprie esplorazioni archeologiche condotte con formidabile determinazione da specialisti dell’UnInsubria Varese-Como, Dipartimento biotecnologie-scienze della vita. Sempre un peccato, allora, che cotanto sforzo – tra l’altro, fresco di approdo in apposita sezione del “Journal of archaeological science” – venga buttato in vacca da certa stampa in cui affiorano chiazze di mero analfabetismo funzionale: a parte l’incoerente copia-e-incolla dal comunicato (e, difatti, al lettore finale arrivano anche gli errori), per ignoranza sommata all’omesso controllo viene spacciato quello che sarebbe un fatto davvero clamoroso, ovvero l’avvenuto riscontro di una morte violenta indotta a colpi di spada, ricostruibile nelle fasi essenziali e risalente a “migliaia di anni” addietro. “Migliaia”, cioè almeno due, e saremmo ai tempi delle campagne galliche di Gaio Giulio Cesare; tre, e ci ritroveremmo in pieno sviluppo della “Cultura di Golasecca”; quattro, dai, non parliamone nemmeno, per buona misura si abbia quale riferimento la triplice dei faraoni Mentuhotep, dal secondo al quarto.

In realtà, tutt’altro: la vittima, denominata T13 e di età fra i 19 ed i 24 anni, sesso maschile, altezza fra i 165 ed i 174 centimetri, morì presumibilmente (grado di affidabilità al 68.3 per cento) fra il 900 ed il 1170, o in alternativa (grado di affidabiliità al 95.4 per cento) fra il 780 ed il 1260; dati da incrociarsi con il periodo presunto del complesso delle sepolture in quella necropoli, fra l’11.o ed il 14.o secolo, tradotti nel periodo dal 1000 al 1300. Insomma: un morto ragguardevole, tra l’altro di alto lignaggio o almeno discendente da nobili lombi, ma storicamente appartenente all’altr’ieri. E che diamine: è così difficile il tenere a mente almeno lo spartiacque fra “avanti Cristo” e “dopo Cristo”, quando s’ha da fare lo sforzo di piazzare otto parole in un titolo dal momento che dello studio pubblicato non è stata letta nemmeno una riga? O si è troppo presi dalla predicazione della deontologia professionale per avere anche contezza di fondamentali senza i quali non si uscirebbe promossi dal ciclo delle primarie?