(ULTIMO AGGIORNAMENTO E RIEPILOGO, ORE 23.12) Un 63enne, cittadino italiano da Como in Lugano ed attivo quale “manager” e fiduciario commercialista in una società luganese con sede in viale Stefano Franscini, ed il fratello 54enne parimenti cittadino italiano ed attivo nel medesimo àmbito ma con base operativa su Como, sono destinatari di ordinanze di custodia cautelare emesse su suolo tricolore nel contesto dell’inchiesta “Swift my cash”, attivata in seno alla Guardia italiana di finanza in Milano e che fa perno su sospetti di corruzione internazionale, riciclaggio e frode per un importo complessivo non inferiore all’equivalente di 23 milioni di franchi, cifra che sarebbe stata fatta “girare” con un complesso meccanismo grazie al concorso di società e/o soggetti tra Stati Uniti, Bahamas, Mauritius, Canada, Ungheria, Austria, Cipro, Regno Unito, Germania e Slovacchia. Gli arresti dei due professionisti, i cui nomi sono noti alla redazione così come le sedi delle attività ed i “curricula”, sarebbero già stati eseguiti; nel contempo perquisizioni hanno avuto luogo a Lugano ed in sette capoluoghi oltre confine (Varese, Como, Milano, Bergamo, Perugia, Torino e Genova) e sotto sequestro sono finiti beni mobili, beni immobili e disponibilità su conti correnti per un valore stimabile in circa 16 milioni di franchi.
Gli indagati, per quanto appreso dal “Giornale del Ticino”, sono almeno nove e per tutti dovrebbe valere l’addebito più semplice, ossia il riciclaggio internazionale aggravato (l’aggravio deriva dalla “finalità di consentire a terzi di commettere condotte di corruzione fra privati, frode fiscale e corruzione fra privati“), Il “sistema” si sarebbe infatti espresso al massimo livello – ma vari altri episodi sono sotto la lente degli inquirenti – con una tangente da oltre 800’000 franchi, cifra asseritamente partita dalla sede milanese di una multinazionale a beneficio della figura di riferimento all’interno di una grossa impresa francese nel ramo oli ed affini, e questo al fine di “garantire” l’attribuzione di una commessa del valore di circa 22 milioni di franchi; per mascherare la parte grigia dell’operazione sarebbero pertanto state emesse fatture fittizie per circa 1’700’000 franchi; al netto di pagamenti in chiaro ed in nero, delle “commissioni”, delle spese e di quanto versato ad intermediari, si sarebbe prodotto un margine effettivo da circa 13 milioni di franchi, parte dei quali infossato su relazioni bancarie fuori dall’Italia (nelle carte, anzi, compare con chiarezza il riferimento a “conti elvetici dei destinatari delle tangenti”. Destinatari che, a questo punto, risultano essere vari, considerandosi nel novero anche quelle che erano dichiarate come “consulenze” o “intermediazioni”). Alla fase esecutiva, perquisizioni comprese, hanno cooperato elementi della Polcantonale Ticino.