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L’editoriale / Tra norma e Norma(n), a Cesare quel che è di Cesare

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A differenza di quanto stanno opinando in queste ore non pochi maniaci scritturali dalle tendenze ecolaliche (si sottolinea: abbiamo detto “ecolaliche”, non “coprolaliche”, non escludendosi tuttavia una sostanziale coincidenza concettuale), nell’ormai nota vicenda dell’incidente di Stalvedro sulla A2 – notte tra lunedì 13 e martedì 14 novembre 2023; per il riepilogo degli accadimenti vedasi anche su questo stesso quotidiano – una sola cosa resta non chiara a proposito della posizione di Norman Gobbi, consigliere di Stato e titolare del Dipartimento cantonale istituzioni, cioè lo stesso Norman Gobbi che nelle comunicazioni del ministero pubblico risultò non suscettibile di qualsiasi “indizio di reato” (metà aprile 2024) e di nuovo non suscettibile di “alcun procedimento penale” (ieri). Non è chiaro, infatti, il motivo della mancata restituzione allo stesso Norman Gobbi – e nell’immediato, cioè oggi – delle competenze sulla Polcantonale, competenze che egli aveva provvisoriamente lasciato al collega Claudio Zali mercoledì 27 marzo, a rigore dell’invocabile e totale trasparenza, con invero non dovuta autosospensione; essendo Norman Gobbi risultato estraneo a qualsivoglia beneficio ossia a qualsiasi azione che in via diretta o in via indiretta l’avesse potuto favorire, sul ritorno ai pieni poteri – nella dimensione propria del Dipartimento cantonale istituzioni, s’intenda – i suoi colleghi a Palazzo delle Orsoline in Bellinzona avrebbero dovuto non già decidere, non già esprimere una valutazione, non già traccheggiare. Non è chiaro, ribadiamo. Anzi: non ha senso.

Vero: all’autorità politica cantonale, in prima battuta, era stato negato l’accesso agli atti. Singolare è tuttavia l’indeterminatezza dei tempi circa la nuova richiesta che sarebbe da formularsi (ma come, non basta quella necessariamente giacente perché respinta? Quali elementi sarebbero cambiati, nel caso?); da punto interrogativo la consequenzialità imposta, ossia la possibilità di “determinarsi in merito”, da parte degli altri membri dell’Esecutivo, solo dopo le “preannunciate decisioni del procuratore generale” e solo dopo il “nuovo” – cioè il… primo – accesso agli atti. E magari una volta che gli atti siano stati letti dalla prima all’ultima riga, con aggravio di tempo? E sotto quali vincoli di riservatezza? Ovvero: quali mani toccherebbero quelle carte, e sotto quali altri occhi esse passerebbero?

Di questo, anziché soffiare sul fuoco con la solita solfa dell’“Ah, ma se ci sono due indagati per favoreggiamento…”, potrebbero occuparsi i non pochi maniaci scritturali dalle tendenze ecolaliche, o più probabilmente coprolaliche, ora che ci pensiamo, dall’inchiostro ai grafemi elettronici e dall’audio al video. Già la soglia della coerenza cronistica, da parte di taluni, è stata superata ad esclusivo riversamento nel livore e nel sussurrio e nel linciaggio (Norman Gobbi ha parlato ieri di “illazioni e maldicenze”. Ha sbagliato, qui sì, ma solo per difetto); ora non si creda che lo stato dell’arte, a condizione naturale ristabilita, sia da procrastinarsi “sine die”.