Home POLITICA L’editoriale / Giggino piazzista in Ticino. Tra silenzi, omissioni e balle spaziali

L’editoriale / Giggino piazzista in Ticino. Tra silenzi, omissioni e balle spaziali

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Varie cose in modo perfetto volle ignorare Ignazio Cassis consigliere federale, oggi, nell’accogliere in Ticino l’omologo tricolore al secolo Luigi Di Maio (in foto, dalla pagina “Facebook” dell’ospite, didascalia “Sguardi fieri e protesi al futuro”): volle ignorare il fatto che tale interlocutore con tale ruolo oggi c’è e domani, magari fra tre o quattro mesi, non ci sarà; volle ignorare il fatto che tale interlocutore è un esponente autodepotenziatosi nell’Esecutivo guidato da Giuseppe Conte (di cui era “vice”, eppure volle scendere di categoria e fare soltanto il minstro); volle ignorare il fatto che tale interlocutore è espressione di un partito in disfacimento all’interno di un Governo di minoranza rispetto ai numeri politici del Paese. Insomma, Ignazio Cassis fece finta di essere al cospetto di qualcuno che conta. Una posizione equa, ponderata, assai elvetica. Ed anche una posizione che ci spiega, per certi versi, la strategia adottata nell’incontro: prendere atto, lasciar dire, lasciar parlare, ma non muovere una pedina che fosse una.

Perché, proprio per essere chiari, a giornata conclusa non si sa ancora per quale motivo Luigi Di Maio sia salito in Ticino, orbitando tra Agno ed il confine con vertice in quel della mendrisiense Ligornetto, con poderoso codazzo di auto di servizio che manco per una marchesa Paola Travasa, benché ella fosse vüna di prìmm damàzz da Lômbardia. Per chiudere la questione sull’accordo pertinente ai frontalieri, o per dare almeno un aggiornamento sui tempi, no; e sì che quel testo, a memoria spannometrica, resta parafato (cioè sottoscritto dai delegati delle rispettive segreterie) da cinque anni a questa parte, senza che Roma l’abbia mandato avanti lungo la filiera burocratica. Per tirare una riga – con promessa di non rimangiarsi tale atto – su “blacklist” parziali o totali, nemmeno. Per cavar fuori in soluzione unica i denari del debito di Campione d’Italia verso il Ticino, neanche. Per garantire i pagamenti prossimi venturi, manco. Per appianare le divergenze insorte quando – e siamo a meno di due settimane or sono – della Svizzera egli disse peste e corna? No; o, quantomeno, parole di scuse non si sono udite; per contro, sono girate le solite frasi viete e trite con dichiarazioni di priorità (“Salvaguardare gli interessi dei frontalieri”) che fanno a pugni con quanto è già stato firmato in prima battuta (spieghi un po’ l’onorevole ministro tricolore: i plenipotenziari della nazione che egli rappresenta avrebbero sottoscritto un testo antitetico agli interessi dei frontalieri? E di questo egli, o un suo collega, si sarebbe accorto? E su quali punti il documento non andrebbe bene?). Un momento, dai, siamo seri: tieni fermo in casa un “dossier” e adesso vieni fuori a sostenere che devi parlarne con un altro ministro, e fai anche sembrare che l’argomento sia di sostanziale interesse solo per la controparte, cioè per Berna (“Sono al corrente delle sensibilità svizzere”)? Non ci siamo; e l’ha fatto notare, con l’unico sbaglio di eccedere in cortesia, Norman Gobbi presidente del Governo ticinese, nei toni dell’appello all’ospite ma anche lasciando percepire disagio ed irritazione. Oh insomma: le cose, o si fanno, o non si fanno. Si aggiunga: tempora mutantur, proprio in Italia si sono già manifestate alcune richieste di altro tipo (Attilio Fontana presidente della Regione Lombardia, per dire, sulla destinazione dei ristorni ha idee assai diverse rispetto ai termini fissati nell’accordo del 1974 ed anche sul testo ora giacente in qualche cassetto); stai a vedere che, aspetta oggi ed aspetta domani, i fogli si autodistruggeranno e bisognerà ricominciare da zero.

Non avendo Luigi Di Maio fatto pertanto quel che si immaginava che egli avrebbe fatto, che cosa rimarrà della visita del futuro ex-ministro, peraltro in una giornataccia per sé e per i vertici del suo movimento politico (bufera su supposti finanziamenti dal Venezuela, secondo lo spagnolo “Abc”; inchiesta delle “Iene” sui rapporti preferenziali del soggetto in questione con una quantità di ex-compagni di liceo)? Una frase, un messaggio: “Venite in Italia a fare le vacanze, l’Italia ha riaperto, vi aspettiamo”. Roba da piazzista, roba da commesso viaggiatore con il blocchetto delle prenotazioni in una mano e con la penna nell’altra, prego, firmi, troverà tutto secondo il suo desiderio. Oh, sia chiaro: in linea di massima un simile messaggio ci sta anche, per quanto esso appaia inelegante se non calato in apposito e preconcordato contesto; insomma, non si va in casa d’altri a far pubblicità per sé stessi, non si fa se non esistono premesse di mutuo scambio e di reciprocità, non si fa – soprattutto – se non si viene esplicitamente invitati. Ma ci sta, quisque auctor fortunae suae, e se ti mettono un microfono sotto il naso può capitare che tu ti senta Freddie Mercury anche se hai la voce di un ramarro.

Fossimo stati nei panni di Luigi Di Maio, in verità, ci saremmo astenuti anche per un motivo altro, e grave: l’Italia che egli ha provato a vendere in “dépliant” multicolore, oggi, non c’è, e non ci sarà per un pezzo. Volete sapere di Rimini? Rimini è un deserto, le sue spiagge non hanno bisogno di strategie di distanziamento coattivo perché non c’è un’anima da “distanziare” dall’altra. Volete sapere di Parma? Parma è una pista da bowling senza nemmeno i birilli, gli “Affittasi” ed i “Vendesi” sfondano sino al centrocittà. Volete sapere di Loreto, perla delle Marche e cara ai ticinesi per via di architetti come Giovan Battista Rusca e Pietro Bernasconi? Ieri, uno di noi si trovava da quelle parti per nostre ragioni editoriali di genere diverso; in pieno anno giubilare proclamato, nel pieno di quella che sarebbe la prima tornata della stagione turistica, era l’unico con targa straniera sull’auto ed alle ore 17.30 andò comodamente a parcheggiare (erano liberi 12 posti su 20 circa) appena fuori dal muraglione in area absidale del santuario, una zona dove di solito nemmeno si riesce ad appoggiarsi per una fermata carico-scarico; e sull’accesso alla piazza, uno sterminio di negozi chiusi; e dentro la piazza, tre o quattro ragazzi con il frisbee, un madonnaro dal canestrello privo di offerte dei passanti che non passano, né comitive né singoli pellegrini, una suora ed un prete in mezz’ora di sosta. Ma quale Italia “pronta”, onorevole, quale…

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