Home CRONACA Il caso / Sui moretti, tutta etica. Sui prezzi, nemmeno etichetta

Il caso / Sui moretti, tutta etica. Sui prezzi, nemmeno etichetta

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Altro che cincischiare sui minuetti che fanno rima con i moretti: meglio farebbero, in casa “Migros”, a tener d’occhio quel che offrono, e la corrispondenza tra quel che offrono e quel che dicono di offrire, e la congruenza tra prodotto e prezzo. Tralasciamo le chiacchiere di contorno e i “distinguo” cavillosi, e stiamo al punto: una volta che al cliente sia stato offerto il prodotto “ics” (per dire, un sacco di patate) al prezzo “ipsilon” (per dire, cinque franchi il pezzo) e che siano state rispettate le condizioni “zeta” (per dire, l’eventuale limite di “tot” pezzi per persona), chi compera ha diritto di pagare esattamente quella cifra, e non un centesimo di più; ciò vale anche nel caso delle offerte di medio e di lungo termine, delle promozioni estemporanee (leggasi alla voce “Azioni”) e degli eventuali sottoprezzo tipo il pane fresco nell’ultima mezz’ora di apertura del supermercato.

Ebbene, questo accade – riscontro indiretto e poi diretto – in una “Migros”: prodotto lanciato a prezzo assai invitante, “2.30 franchi” (in riduzione dal precedente “3.50 franchi”, meno 34 per cento), costo unitario per la vaschetta da circa 360 grammi; della veridicità di tale offerta viene tra l’altro dato riscontro, in caratteri più piccoli, con l’indicazione del prezzo di 0.64 franchi per 100 grammi. Storia (incontestabile) di qualche settimana fa, e che si propone solo ora perché, al di là dell’avvenuta osservazione diretta, sembrava introvabile una prova documentaria ossia la foto che inchioda. Torniamo all’accaduto. La proposta, si capisce, si colloca di diritto nella categoria dell’imperdibile; benché la fine della giornata sia ancora lontanissima, difatti, nel banco-vasca del “freddo” c’è un bel cratere e restano sì e no sei pezzi. Si butta nel carrello e poi ci si ferma, l’occhio ha colto qualcosa: sull’etichetta dell’articolo, a parte il fatto che quei dichiarati “circa 360 grammi” sono 353 ed uno si domanda come mai nel commercio il “circa” viaggia sempre al ribasso mentre 361 grammi sarebbero stati sicuramente un “oltre”, le cifre non corrispondono. Non corrisponde il prezzo dell’articolo, e non corrisponde il prezzo unitario per un chilogrammo (che, a meno di colpi di Stato nel frattempo intercorsi e dei quali nessuno ci rese edotti, corrisponde ancora a 10 volte un ettogrammo, e per “ettogrammo” s’intende ancora l’agglomerato fra 100 singoli grammi). Al costo unitario di 23 franchi il chilogrammo ossia di 2.30 franchi l’ettogrammo, fanno 8.10 franchi. Due volte virgola 31 il prezzo di base dell’articolo, e tre volte virgola 52 il prezzo indicato nella superofferta.

A qualcuno dei clienti la cosa sarà di sicuro sfuggita; in un carrello da 150 o da 200 franchi è possibile che non ci si accorga della differenza, ed è pertanto probabile che taluno abbia pagato a prezzo pieno credendo invece di aver fatto l’affare. A qualcuno, ma non a tutti, e qui va in scena la “pochade”: si richiama l’attenzione di un’addetta andandola a cercare, l’addetta arriva, guarda, compulsa, tenta – o così pare – di fare un calcolo a mente, operazione in apparenza senza esito, la solita scusa sulla falsariga dell’“In realtà non è di mia competenza” (e allora, benedetta ragazza, perché poco prima e sulla mia puntuale descrizione mi hai detto che ti saresti occupata della cosa?), viene fatta subentrare una figura che si presume sia superiore in rango, arrivo, osservazione, compulsazione, tentativo-bis di calcolo a mente, sguardo smarrito, ravanatura nel banco-vasca del freddo nella vana speranza di pescare un articolo sul quale il prezzo esposto a caratteri cubitali sia stato funzionalmente riportato, infine la resa: “Eh, è vero”. E zac, il colpo magistrale: non si fa sparire il prodotto, si fa sparire il cartello. L’“azione” sul “Prosciutto cotto Vivaldi”, tra l’altro marchio che sembra un’incitazione a sostegno di un “discounter” concorrente, scompare e finisce lì.

“Eh, ma si sarebbe dovuto capire che il prezzo non poteva essere tale”, direbbe l’avvocato delle cause perse, aggrappandosi ad un cavillo. Sì, certo, come no: è, questa, una vecchia convenzione unilaterale che ogni tanto, quando non si sa più a quale santo votarsi, viene infilata nei ragionamenti in modo da dissolvere magari i vincoli di un contratto. Ma su un’“azione”, che di fondo è strumento utile per forzare una vendita, trattasi di discorso che proprio non si può accampare: il consumatore, per quanto attento e responsabile, non è tenuto ad estendere l’attenzione (e tantomeno la responsabilità) sino a dover pensare che chi sta vendendo sia incorso in un doppio errore, errore di calcolo ed errore in diligenza. E che altre, altre, altre volte ciò sia avvenuto, magari con la medesima evidenza o magari sui marginali, 20 centesimi qui, un franchetto là. Altro che fare gli splendidi sulla nomenclatura dei moretti, altro che.