Cinque legislature alle spalle, candidatura – in deroga – per la sesta: stasera, dal Comitato cantonale Ppd in quel di Sant’Antonino, il nome di Filippo Lombardi è stato quasi plebiscitato (cinque i contrari su 133 aventi diritto al voto) in caccia alla conferma sul seggio del Consiglio degli Stati, territorio sul quale pochi sono invero disposti a mettersi in gioco se non con un paracadute dalle dimensioni sovrabbondanti o, per altra condizione pregressa, semplicemente cercando una traccia di luce che sia foriera d’altro e venturo messaggio. Autoregalo di compleanno, a pochi minuti dal genetliaco numero 63, per colui che in verità non aveva avversari interni e pochi oppositori troverà fuori dall’àmbito azzurro, sempre e ad ogni modo dovendosi fare i conti con il potenziale prodotto della sancita e parafata ma non propriamente firmata alleanza – ad ogni modo, non simbiotica – tra Lega dei Ticinesi e Udc, e qui conta parecchio anche l’identità del soggetto che sarà scelto.
Nessuna sorpresa – non è del resto che Marco Passalia ed i suoi della “Commissione cerca” potessero inventarsi qualcosa che non esiste – anche sul versante del Nazionale, dove correranno per la terza legislatura Fabio Regazzi e Marco Romano in ambizione di mantenersi agganciati a seggi ben appetiti (inutile il nascondersi dietro ad un dito, una saldatura strategica ancorché effimera nella catafratta Sinistra ticinese condurrebbe all’acquisizione di benefici immediati); con loro sei nomi ossia Sabrina Gendotti, Davide Lurati, Michele Moor (esatto, “quel” Michele Moor, già pipidino e poi transitato in quota udicina e poi rientrato alla base), Michel Tricarico, l’eccellente Giuseppe Cotti e Stefano Imelli. Poi, per carità, da qui a cinque mesi tutti busseranno alle porte di tutti e cercheranno di accaparrarsi un prodotto che sia meglio “garantito”; sulla permanenza in piena integrità della sestina degli “outsider” per la Camera bassa, ad esempio, pochi sono disposti a scommettere.