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Delitto di Ascona, all’uxoricida 18 anni per assassinio

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Per lui, quando avrà finito di scontare la pena, ci sarà l’espulsione dalla Svizzera. Ma ha 57 anni, ed oggi è stato condannato a 18 anni da espiarsi; se mai uscirà dal carcere potendo spingere la porta con le sue mani, cosa da non darsi per certa in ragione dell’età e non volendosi qui dar spazio ad altri pensieri, nella Macedonia sua nazione d’origine egli non troverà accoglienza amichevole: è infatti un assassino, uno che per gelosia elevata a pretesa di possesso di un’altra persona arriva a scaricare un’intera arma da fuoco su colei che da “amata” diventa vittima, “colpevole” di tradimento – secondo le voci che l’uomo aveva iniziato a raccogliere un paio di mesi prima dei fatti, rientrando da un periodo nel paese natale – con altra persona nell’àmbito familiare. Per assassinio, assassinio compiuto (così nel dispositivo della sentenza letta oggi dal giudice Mauro Ermani in sede di Corte delle assise criminali) in modo barbaro e con efferata crudeltà, è stato condannato l’autore del delitto che sconvolse Ascona nella mattina di venerdì 23 giugno 2017, quando l’uomo giunse nella zona antistante la “Migros” e fermò la consorte davanti alla pensilina del bus, la “invitò” a seguirlo sino al punto di accesso al posteggio sotterraneo del supermercato e pretese di essere ascoltato. La donna, 17 anni in meno rispetto al marito, una vita diversa davanti agli occhi dopo il lungo periodo da persona vessata ed oppressa psicologicamente, accettò di parlare, credendo che quello sarebbe stato un confronto pacato e risolutore. Risolutore, sì, ma in altra cifra, quella che balenò nella mente del marito una volta che fu netto il “no” all’ipotesi di un ritorno sotto lo stesso tetto e nello stesso letto; ed il dramma si consumò in pochi attimi, persino con un colpo ultimo sparato quasi a bruciapelo mentre la donna stava agonizzando a terra.

Rispetto ai 20 anni chiesti dal procuratore pubblico Moreno Capella, la cui ricostruzione dei fatti è invero apparsa assai convincente e particolareggiata nella necessaria crudezza, un minimo sconto è stato riconosciuto per lieve scemata responsabilità, in ragione della perizia psichiatrica presentata a firma di uno specialista dalla chiara fama qual è Rafael Traber; oltre questa soglia, tuttavia, nessuna concessione. Niente credito, ad esempio, alla tesi secondo cui, appena dopo aver commesso il delitto, il 57enne avrebbe tentato di togliersi la vita per disperazione: una messa in scena e nemmeno plausibile, è stato detto, sebbene in una prima e sommaria ricostruzione tale elemento fosse stato dato – e con evidenza – da fonti ufficiali. Niente strada per la tesi del difensore Niccolò Giovanettina, che contestando in sostanza una carenza di movente e mettendo in discussione l’impalcatura dell’atto di accusa puntava a far ammettere l’omicidio intenzionale in luogo dell’assassinio e ad ottenere una condanna non superiore a 14 anni. Niente luce, infine, negli occhi dell’uomo; ma non ce n’era nemmeno nelle ore in cui egli fece scivolare una pistola in tasca ed affrettò il passo verso un appuntamento con il destino altrui.

Nella foto NaGer-“Giornale del Ticino”, il luogo del delitto.

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