Home CRONACA Carte “Bancomat” rubate e riusate, presi a Brogeda due “finalizzatori”

Carte “Bancomat” rubate e riusate, presi a Brogeda due “finalizzatori”

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Nella più semplice tra le ipotesi, avrebbero fatto tutto da sé: furto, gestione e “rigommatura” delle tessere, indi utilizzo ed indebiti prelievi. Non questa, nel caso di specie, è tuttavia la linea di indagine più logica e, meglio, quella su cui si stanno muovendo gli inquirenti: probabile invece l’esistenza di una struttura articolata su almeno tre o quattro livelli e con singole competenze affidate a singoli soggetti o a gruppi di soggetti, sicché i due arrestati una quindicina di giorni addietro (sì, ci sono due tizi in manette e graziosamente ospiti del sistema penitenziario ticinese, andiamo poi a capo per il raccontino) sarebbero soltanto i terminali, gli esecutori, in una parola i “finalizzatori” di un complesso giro di attività illecite svolte da terzi presumibilmente ma non necessariamente appartenenti alla stessa ghenga. Una filiera, ecco: una filiera organizzata in modo da rubare carte “Bancomat” e da sfruttarle sino allo sfinimento, cioè sino al massimo dell’asciugatura possibile dei conti correnti. Partiamo dal fondo. È mercoledì 16 novembre quando al valico di Chiasso-Brogeda, a bordo di un’auto con targhe italiane, vengono intercettati un 46enne ed una 39enne, entrambi italiani, entrambi residenti in Italia. Intervento non casuale, quello delle forze dell’ordine: ai due si è giunti nel contesto di un’ampia attività investigativa; al momento della perquisizione del veicolo, del resto, spuntano varie tessere bancarie emesse da istituti di credito elvetici. Tre, cinque, 10, magari? No: 67. Tutte buone, nel senso: tutte provento di un crimine, ma dannatamente spendibili.

Gli inquirenti sanno già tutto: ossatura e sviluppi di indagine a parte, sono stati messi sull’avviso da un operatore bancario avvertito da terzi o resosi conto autonomamente dell’esecuzione di prelievi metodici e massicci. L’uomo e la donna, per il porto stesso di quel materiale, sono responsabili e rei. Fatto tutto con le proprie mani? Difficile a credersi. Piuttosto, come teorizzano gli investigatori, esistono almeno tre passaggi e tutti presidiati da soggetti distinti: a) qualcuno si appropria indebitamente le tessere bancarie che vengono spedite per posta ai titolari, ad esempio quando le tessere stesse sono da rinnovarsi o da sostituirsi; b) una volta in possesso di una delle tessere, il malintenzionato o i malintenzionati (e non è detto che siano gli stessi indicati al punto precedente) si mettono a caccia del numero di telefono dei legittimi proprietari, ovviamente non per restituire il maltolto ma per ottenere una serie di informazioni di base, ed in tal modo procedono alla fase seguente cioè prendendo contatto diretto con le vittime designate. Esempio: facendo finta di essere dipendenti della banca emettitrice della tessera, e dichiarando la sussistenza di problemi di registrazione o di omologazione della tessera, magari riescono persino a “strappare” i codici personali dell’utente; in alternativa, dopo invio di un Sms con l’ìndicazione di un “link” informatico su cui l’utente stesso è invitato a fare “clic”, lasciano che la persona interpellata proceda con l’inserimento dei dati. Dove sta la gherminella? Ah, semplice: all’apparenza, la pagina InterNet richiamata dal “link” corrisponde a quella dell’istituto bancario; in realtà trattasi di clonazione, dunque di una copia. Altamente sofisticata, lo si riconosce, ma copia e basta. E una volta che le informazioni “sensibili” siano state rivelate al portale illegale, preparatevi a salutare i vostri denari; anzi, nemmeno quello, perché il peculio avrà già preso il volo su prelievi rapidi e strategicamente distribuiti.

L’attività di sottrazione delle tessere, per quel che si capisce, ha luogo su suolo italiano o con agganci direttamente in landa d’oltreconfine; bersagli “privilegiati”, i frontalieri; l’entità delle somme sino ad ora sparite dalla circolazione ammonterebbe a 40’000, forse 50’000 franchi. Secondo quanto compare nel “dossier” gestito dalla procuratrice pubblica Valentina Tuoni, a carico degli arrestati valgono addebiti quali ripetuta truffa, ripetuta appropriazione semplice e ripetuto abuso di impianto per l’elaborazione di dati.