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A margine / Locarno festivaliera, ripartenza riuscita (film in piazza a parte)

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Un demoralizzante fumettone dal pretenzioso titolo “Bullet train”, 127 (centoventisette e sono sembrati duecentocinquantaquattro) noiosissimi minuti di un prodotto cinematografico stantio e nel quale persino Brad Pitt protagonista è finito travolto dalla banalità del soggetto e dalla leziosità di una regìa senza acuti e senza fantasia e senza nerbo e senza idee (troppo impegnato a rimirarsi nello specchio, David Leitch, memore delle esperienze come “stuntman” d’acciaio?), ha rovinato in parte la serata di apertura del “Festival internazionale del film di Locarno”, come noi insistiamo a chiamare questa rassegna rivendicandosi – sissignori – l’internazionalità quale Dna dell’evento, ed è questa una caratteristica distintiva anche rispetto a molti “wannabe” politicamente assai sponsorizzati su territorio elvetico. Rovinato in parte, ma non del tutto: il film in piazza Grande nel primo giorno della rassegna (si andrà avanti sino a sabato 13 agosto) è spesso un mero corollario al piacere di ritrovarsi – quest’anno, poi, dopo due colpi a vuoto per note cause – e di vedere che la manifestazione è in piedi e che tante facce fanno capolino ancor oggi, un po’ meno i giornalisti – pare che le richieste “serie” di accredito siano calate – ed un po’ di più quelli che arrivano per raccogliere consenso anche dove non hanno seminato, chissà se è poi il caso di stare sempre zitti e di non disturbare il manovratore pur dovendo il Ticino affrontare problemi crescenti anziché calanti, ora come ora, per precipua responsabilità dei bernesi.

Non staremo a salmodiare su chi c’era, su chi non c’era, su chi è venuto ma se ne è rimasto in disparte e su chi non è venuto affatto pensando che la sua assenza sarebbe brillata. Diremo invece di quel che si è visto: non fa l’unanimità, Marco Solari, che del “festival” è ad ogni buon conto il referente apicale ulltimo, ma ha detto cose sensate e, indirettamente, ha risposto all’unica, vera domanda che aleggia sopra questo appuntamento in transito sotto il nastro delle 75 edizioni. Formuliamo senza adattamenti di convenienza: c’è ancora, ai giorni nostri, un motivo per continuare a mettere in piedi questo castello fatto di immagini e di incontri e di premiazioni e di sorrisi (sempre troppi) e di materiali che saranno anche ben selezionati – non si discute e non lo si farebbe in qualsivoglia caso per rispetto del lavoro altrui – ma spesso deludono? C’è un motivo, aggiungiamo, nell’epoca del consumo immediato, delle “Netflix”, delle reti su cui puoi trovare tutto e cioè quell’esaurienza di genere, di tema e di periodo che ci offre uno spettro di visione inimmaginabile ancora a fine secolo scorso? Ecco, il motivo c’è. Esso non è spiegabile a parole; esso non è raccontabile nemmeno se si ricorre al fascino della piazza gremita quali che siano le condizioni atmosferiche (fa parte del fascicolo promozionale, ed occhio: il pacchetto si sta trasformando in paccottiglia); esso non attiene, infine, alla pretesa magìa dell’ambiente e della cultura che in esso ambiente si respirerebbe o si respira, questione di punti di vista. Eppure c’è: nonì si spiegherebbe, in caso contrario, il consenso che viene raccolto a scatola chiusa, ché altro e ben più facile gioco sarebbe il dire “Ehi, metto sul piatto le prime 10 produzioni delle “major” d’America”, cosa che possiamo sognarci (ma no: se le tengano, anzi).

L’essere critici verso i contenuti di una rassegna non equivale – né deve equivalere – al demonizzare l’opera svolta e gli operai che su tale cantiere si sono trovati a durare fatica. Spiace il rilevarlo, ma è quanto stanno già facendo alcuni che per 11 mesi l’anno si proclamano amici della manifestazione e fedelissimi a Locarno ed estimatori chi-mai-più-di-noi e so schön Sonne See Dolcefarniente italienisches Flair Tuttopaletti und so weiter, ma appena mettono il naso su largo Franco Zorzi si sentono autorizzati a storcere il naso perché pretenderebbero, come minimo, che venisse “festivalierizzata” l’intera Locarno dalle sponde del Verbano alle propaggini verso Solduno come minimo. Ecco, signori, dopo tutti questi anni ancora non avete capito: il “Pardo” ci è caro, tutto quel che orbita attorno al “Pardo” rallegra e di certo dà lavoro a parecchi, e di “Pardo” si parla sia ben prima dell’evento sia dopo; ma quest’idea dell’evento “totalizzante”, diciamo, non ci è mai appartenuto né si intende incominciare oggi ad aderire ad una forma di pensiero da binario morto.