Ehi, chi l’avrebbe detto? È arrivata domenica 7 aprile, a mezzogiorno scadranno le promesse elettorali (nessun beneficio per chi pensi di proporne già un… minuto dopo), da mezzogiorno e frammenti si incomincerà a ragionare su schede, voti di lista, “panachage” e su chi vince su chi perde su chi pareggia, e Mario resta tranquillo e Giovanni invece trema e Francesco assiste livido al crollo delle sue ambizioni e soprattutto si assisterà allo spettacolare esercizio del salto sui carri dei vincitori, per solito in contemporanea con sdegnosi corrucciamenti del volto da parte di quelli che eh, noi siamo quelli con le idee, purtroppo il popolo vota di pancia e non ci ha capito (è la versione reiterata di una vecchia barzelletta con dialogo tra padre e figlia che va male a scuola: “Ma insomma, sei un disastro, qui c’è scritto che non hai una nota sopra il tre…”; “Ah, ma io ce l’ho messa tutta. Purtroppo, i professori si rifiutano di collaborare”). Insomma, siamo alla “deadline” di quella che per oltre 700 candidati alle Cantonali è stata almeno una bella avventura, o così si oserebbe sperare; c’è un Ticino da mandare avanti, servono energie e servono donne e uomini con il giusto spirito, ed a parole tutti sono animati da entusiasmo personale e da dedizione alla cosa pubblica.
L’uomo della capra, un acronimo per cinque punti qualificanti di programma realizzabile, sa benissimo che tra politica e mondo reale continuerà a rimanere un fossato, uno iato, uno steccato. L’uomo della capra, cioè colui che scelse la capra come emblema di qualità che dovrebbero accompagnarci nel quotidiano, sa inoltre che, oltre ai risultati da cui deriva la composizione dell’Esecutivo e del Legislativo, ben altro uscirà da queste urne: la campagna elettorale, di fatto lanciata ad inizio autunno 2018, ha portato alla luce nelle ultime settimane una frammentazione significativa all’interno di varie forze politiche, socialisti contro socialisti, pipidini contro pipidini, liberali contro radicali (vabbè, questa era più scontata), in esplosione tipo supernova l’area ambientalista, e non si dice di altro sino a che i numeri saranno stati pubblicati, ma si è visto anche qualcosa che non può piacere alla cittadina elettrice ed al cittadino elettore. Ci si parla in varie salse della crescente disaffezione alla vita politica; fatta salva la sacca di coloro che verso la politica nutrono un interesse pari a quello che riserverebbero al campionato sopracenerino di castelli di sabbia, tutti gli altri avrebbero diritto di affermare che la responsabilità di ciò ricade sulla politica. Non è il tempo per produrre ricette tali da rimarginare la cesura; non è il tempo, ma lo sarà. Un primo passo, e tale mandato si affida ad 89 o 90 granconsiglieri prossimi venturi (la differenza di un’unità è data dalla compresenza o dalla non compresenza dell’uomo della capra, no?), potrebbe consistere nell’adozione di strumenti che rendano il politico meno inviso all’elettorato medesimo. Inviso, certo: quale grado di apprezzamento si crede che susciti, nel cittadino votante, una campagna elettorale in cui per puntare al seggio in Gran Consiglio c’è stato chi ha speso 50, 60, 80, 100’000 franchi e di più? Vero, qualcuno può permettersi ciò con risorse proprie o con l’aiuto disinteressato di amici che lo vedrebbero bene a rappresentare determinate istanze; ma dove sta il confine tra l’investimento tale da far storcere il naso ed una sana propaganda per far conoscere il neofita o per far riconoscere il lavoro di chi abbia già operato all’interno delle istituzioni? E delle due l’una: lo storico e mai dimenticato Gigi di Viganello, che nel percorso mattutino da casa ad un qualche scavo aperto sulla strada (eggià: anche il Gigi di Viganello è diventato anziano ed ora approfitta della meritata quiescenza per andare a guardare i cantieri…) si imbatte in cinque cartelloni formato mondiale ed in tre pannelli tipo “rotor” ed in un mazzetto di volantini a promozione del medesimo candidato, quel Gigi di Viganello si porrà qualche domanda (una su tutte: “Da dove estroflette così vezzosamente e con cotal signorile garbo il denaro per siffatto e mirabile impegno promesso a tutela ed a garanzia e nel nome di noi tutti, questo gentiluomo d’altri tempi?”) o sarà soltanto impressionato dal faccione in evidenza?
Uno strumento, d’acchito, c’è. Meglio: un’ipotesi di lavoro, perfezionabile e perfettibile, ma a schema fisso. E cioè: per le Cantonali almeno (sulle Comunali ciò diventerebbe impossibile per motivi legati all’ordine delle grandezze: non si può codificare Cevio sui parametri di Mendrisio o Breggia su quelli di Bellinzona), istituire un tetto di spesa, a salvaguardia degli anglofili lo si chiami magari “expenditure ceiling”, ma il succo non cambia. Tetto di spesa individuale, ed uguale per tutti i candidati: “tot” per inserzioni pubblicate o per spazi acquistati direttamente, “tot” (in quota, cioè in proporzione, cifra “ics” divisa per numero dei candidati presenti) sulle inserzioni pubblicate o sugli spazi acquistati per presenze collettive. Non è un voler controllare il borsellino dei singoli; è una condizione equa ed equitativa allo scopo di delimitare il campo e di introdurre regole di “fair play” nella competizione elettorale. Sulla cifra si discuta, e senza infingimenti: se si vuol stabilire una soglia a 30’000 o a 50’000 o magari anche a 70’000 franchi, è tanto ma per incominciare andrebbe benissimo così, purché nessuno sgarri. Niente trucchi, niente inganni, niente artifici; anche perché, sino a prova provata, siamo tutti capaci di capire che cosa sia informazione e che cosa sia pubblicità. E buona domenica, e grazie per l’attenzione. Sono state settimane interessanti, sapete? Chissà che altre vengano.
Alessandro “Bubi” Berta, candidato numero 60 al Gran Consiglio,
lista numero 16