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L’editoriale / Caro Sgarbi, nel tuo sei un genio ma adesso hai rotto il cazzo

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No, così non va. Sino all’altr’ieri vicenduola da cronachella solleonesca sconfinante nel “gossip”, con il contorno della polemica lanciata e rilanciata da un lato all’altro della frontiera, il caso dell’auto italiana in transito con lampeggianti a sproposito e noto parlamentare a bordo passò oggi a toni sinceramente inaccettabili da parte di Vittorio Sgarbi, per l’appunto soggetto trasportato sul veicolo il cui autista utilizzò segnali prioritari senza avere diritto – o eventuale autorizzazione provvisoria – a fare ciò, indicativamente nella zona di Val Mara frazione Maroggia sulla A2, direzione sud, nel pomeriggio di domenica 7 agosto sul rientro dal “Festival internazionale del film” di Locarno. Toni inaccettabili, fuori registro, offensivi, inadeguati anche sulla bocca di un polemista per natura e che – non lo si dimentica – spesso ha dovuto chinarsi davanti ai rigori della legge per condanne di vario genere tra ingiurie, diffamazioni e oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale: perché una cosa è il contestare una multa o una sanzione qualsivoglia (alla peggio, si va davanti ad un pretore e la si definisce lì), un’altra cosa è l’accusare elementi delle forze dell’ordine di aver mentito sulla ricostruzione di un episodio (alla peggio, si va ad un contenzioso in aula penale e parimenti la si chiarisce a quel livello, impregiudicati i diritti ad appelli e ricorsi); altro ancora, e questo è l’argomento delle ultime ore, è l’andare all’attacco del sistema di un Paese del quale si è stati ospiti con espressioni furenti e che tirano in ballo l’onorabilità di un membro del Governo cantonale, Norman Gobbi nel caso di specie e per ragioni di competenza diretta – è il capo delle Istituzioni, fu chiamato in causa e replicò in nome delle istituzioni – ma si sarebbe potuto trattare di chiunque altro.

Troverete sulle nostre pagine “Facebook” il testo completo delle invettive, montate su ritagliucci di giornale recuperati qua e là grazie ad InterNet. Di nuovo errando – lo aveva già fatto: vedasi nostro precedente editoriale – in logica, il che dovrebbe costituire per lui un motivo di riflessione perché è questa l’anticamera dell’incoerenza, Vittorio Sgarbi si fa innanzi tutto epigono del peggior lombrosianismo cioè delle aberrazioni dottrinali – nulla a che vedere con un fondamento scientifico – di quel Cesare Lombroso veronese che pretendeva di riconoscere la tendenza criminale di una persona dal volto della medesima; da qui l’espressione secondo cui “(…) un tipo così, con una faccia così… diciamo che è l’ultima persona della Svizzera a poter fare o dare lezioni di moralità, rispetto delle regole e (delle) condotte civiche”. Dichiarazione demenziale: che cosa c’entri la faccia di Norman Gobbi con la sua serena presa di posizione quale consigliere di Stato (“Signor Vittorio Sgarbi, da noi le regole si rispettano, punto”) non è dato sapere semplicemente perché non vi è congruenza di tema e di argomento. Peggio ancora sulla pretesa di giudizio morale a carico di Norman Gobbi (che Vittorio Sgarbi, in altro “post” pubblicato su una rete sociale, aveva indicato come mero “signor Gobbi” affermando di non conoscerlo): il titolare del Dipartimento cantonale istituzioni, peraltro dipinto come “pittoresco”, sarebbe contraddistinto da “ambiguità”. Ambiguità. Ambiguità. Ripetiamo: ambiguità.

Noi, nel racconto della vicenda, ci fermiamo qui. La reazione inconsulta di Vittorio Sgarbi – che è a sua volta figura delle istituzioni: tra l’altro, da sindaco di Sutri, nel Viterbese – esce dall’alveo di ciò che è trattabile con serenità sulle pagine di un quotidiano; basti il pensare ad un’ipotetica situazione in cui il granconsigliere Pinco del Partito Pallo avesse vilipeso pubblicamente la Repubblica italiana e/o le sue assemblee legislative o una di esse, ovvero l’Esecutivo o la Corte costituzionale o l’ordine giudiziario. Inimmaginabile, al di là di quanto sta nelle leggi. Non è più dialettica, non è più confronto, non è più – ma questo, e purtroppo, sin dalle prime ore seguenti i fatti – la difesa di una ricostruzione dei fatti contro l’altrui ricostruzione, financo in un’eventuale pretesa asperrima di ottenere ragione e soddisfazione; al di là di quanto si dovrà ancora riferire, non è più quanto forma l’oggetto della cronaca, cioè del nostro lavoro, a men che giunga una resipiscenza che tuttavia non crediamo possibile, quantomeno non nelle forme della subitaneità invero necessaria.

In materia di arte, a Vittorio Sgarbi sono da riconoscersi una competenza professionale formidabile ed una capacità non comune di declinare il “fatto artistico” davanti ad un pubblico non necessariamente formato da esperti o da interessati alla materia. Di più: alcuni allestimenti curati da Vittorio Sgarbi, a volte anche con materiali di proprietà, hanno nobilitato città come la citata Sutri nel Lazio, come Salemi – altro Comune in cui il noto politico fu sindaco – in Sicilia, come Osimo nelle Marche (proprio a Palazzo Campana di Osimo, nel 2016, fu proposto il corredo delle proprietà familiari sotto il titolo “Le stanze segrete”: trovammo lì, e documentammo in un servizio, due bei materiali trattati dal “momò” Vincenzo Vela). Non per questi meriti, e nemmeno se nel frattempo la sua onnivoricità culturale si fosse espansa oltre i confini dello scibile umano, Vittorio Sgarbi sarebbe scusabile, quand’invece un’elementare, banale, semplice ammissione (“Il mio autista ha acceso luci prioritarie, credeva di poterlo fare, ha sbagliato in buona fede, buonasera a tutti e davvero mi dispiace”) avrebbe risolto tutto fra reciproche attestazioni all’insegna di buon vicinato. Dal che, con la libertà che “Il Giornale del Ticino” può prendersi ed altri colleghi no, ben edulcorando titoliamo come in epigrafe. Non di più, ma neanche di meno.

Post scriptum – Ancora alle ore 21.10 di oggi, in apertura della pagina “Facebook” di Vittorio Sgarbi (contenuti gestiti dal medesimo, dal suo addetto-stampa Nino Ippolito, da Sabrina Colle che del noto politico è “partner” e da altri soggetti), viene riportato un “post” prodotto da Pierangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore. Riportiamo il testo, che fornisce l’esatta dimensione di un osannatissimo capolavoro di ignoranza: “La Svizzera che si fa vanto di non avere auto blù (ndr: sì, ha messo l’accento su “blu”), di essere la terra dove la legge è legge e di voler così impartire una lezione a Vittorio Sgarbi che se ne fa beffe di una multa per avere saltato una fila, dovrebbe comunque ricordare la sentenza di Orson Welles: “In Italia per 300 anni sotto i Borgia ci sono stati guerra, terrore, criminalità, spargimenti di sangue, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo, il Rinascimento. In Svizzera vivevano in amore fraterno, hanno avuto 500 anni di pace e democrazia. E (che) cosa hanno prodotto? L’orologio a cucù”. Orson Welles, circa la Svizzera, era un caso di ignoranza patologica; chi lo citi senza sapere questo, idem.

Post scriptum-2 – Non disponendosi di foto “fresca” dell’onorevole Vittorio Sgarbi, ne abbiamo ripresa una dalla sua pagina “Facebook”. E no, non abbiamo ceduto alla tentazione di associare quel volto al muso di una capra, animale di riferimento del volto medesimo.