Un miglioramento sensibile dell’odierna regolamentazione per quanto riguarda l’imposizione fiscale sui lavoratori, ed un contributo al mantenimento di buoni rapporti con la nazione confinante. Su tale base e con tali tesi peregrine, da Palazzo federale, l’odierna adozione del messaggio contenente il nuovo accordo sui frontalieri con l’Italia, testo sottoscritto nel dicembre 2020 dopo negoziati lunghi e non sempre pacifici anche per via del continuo ricambio di interlocutori politici su suolo tricolore. In definizione generale, i “nuovi” frontalieri (ossia coloro che entreranno nel mercato del lavoro dopo l’entrata in vigore del nuovo accordo) saranno tassati in via ordinaria anche in Italia e la Svizzera tratterrà un 80 per cento dell’imposta alla fonte ordinaria ex-prelievo dal reddito dei citati “nuovi” frontalieri. Godrà di un regime fiscale transitorio, con tassazione esclusiva in Svizzera, chi abbia lavorato in Ticino o nei Grigioni o in Vallese fra il 31 dicembre 2018 e la data di entrata in vigore del nuovo accordo; linea trovata sul 40 per cento (ergo, un ritorno all’aliquota del 1974, con lieve peggioramento a danno delle casse elvetiche), denaro in compensazione diretta ai Comuni italiani di confine (sarà da vedersi se Roma sceglierà “ex post” di inserire una tappa obbligatoria alla Tesoreria centrale), e ciò sino all’anno fiscale 2033.
Come è noto, prima dell’entrata in vigore di tale testo occorrono ancora alcuni passi: approvazione in Parlamento a Berna, approvazione in Parlamento a Roma, ratifica da parte dell’autorità di governo in Svizzera, ratifica da parte dell’autorità di governo in Italia; sempre che qualcuno non decida, a ragion veduta, di rovesciare il tavolo. Fatti due conti, e proprio con il beneficio di un entusiasmo che non ha invero ragione di essere, se ne riparlerà forse a cavallo fra primavera ed estate del 2023.